Fact checking
L'imbarazzante omertà del governo sui doni di Stato
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2016-08-05
La senatrice Bottici ricorre al TAR per avere l’elenco dei doni ricevuti dalla presidenza del Consiglio negli ultimi dieci anni e la loro destinazione. Il tribunale le dà ragione. E il governo ricorre al Consiglio di Stato. Ma la trasparenza?
Laura Bottici del MoVimento 5 Stelle ha segnalato ieri sulla sua pagina Facebook che la presidenza del Consiglio ha fatto ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del TAR che intimava a Palazzo Chigi di rendere pubblico l’elenco dei doni di Stato. La storia è piuttosto complicata e vale la pena raccontarla tutta.
L’imbarazzante omertà del governo sui doni di Stato
La storia dei doni di Stato (in questo caso si parla di Rolex) comincia nel gennaio di quest’anno, quando Il Fatto Quotidiano racconta di una figuraccia internazionale tra l’8 e il 9 novembre 2015: la delegazione italiana si trova a Ryad in Arabia Saudita e su uno dei tavoli del ricevimento ci sono tanti pacchetti con orologi preziosi: avveniristici cronografi prodotti a Dubai, con il prezzo che oscilla dai 3.000 ai 4.000 euro e Rolex robusti, per polsi atletici, che sforano decine di migliaia di euro, almeno un paio. Mentre il cerimoniale sta per conferire i regali, un diverbio tra delegati viene “sedato” attraverso il sequestro degli orologi e la custodia fino al ritorno a Roma. Qui i doni “spariscono”. I dipendenti pubblici non possono accettare omaggi di valore superiore ai 150 euro (direttive Monti 2012 e legge Patroni Griffi 2013), che diventano 300 per premier, ministri e familiari (decreto Prodi 2007). Il Cerimoniale doveva conservare gli orologi e poi depositare i pacchetti al Diprus, il dipartimento di Palazzo Chigi che gestisce la sala dei doni di Stato. Non è andata così. Palazzo Chigi fornisce la sua versione dei fatti:
Il 10 novembre, al rientro a Roma da Ryad, il capo del Cerimoniale rammentò ai dirigenti e ai funzionari i limiti fissati dalla legge senza menzionare i Rolex con un’apposita circolare (ne abbiamo una copia, ndr). Da quel momento iniziò la restituzione. Almeno fra il personale di Chigi. Il guaio è che i doni non devono proprio essere assegnati, ma custoditi fin da subito in uno stanzone per andare in beneficenza. La figuraccia internazionale è indelebile. Agli errori si può rimediare.
Le fonti fanno anche sapere che il pacco ricevuto da Renzi a Ryad si trova a Palazzo Chigi (e nessuno l’ha messo in dubbio). E nulla eccepiscono sulla bicicletta Shimano del governo giapponese: il premier l’ha utilizzata in vacanza, anche se sfonda il tetto di 300 euro stabilito da Prodi. Ora, però, i fatti di Ryad entrano in Parlamento. Sinistra Italiana annuncia un’interrogazione al premier. E Renzi promette che a fine mandato ci sarà un elenco con i regali di Stato: quelli che restano al governo (arredi, tappeti) e quelli che vanno all’asta. Ha ancora un po’ di tempo per rimettere in ordine lo stanzone del palazzo. Sul futuro si può intervenire. Sul passato no.
Alla fine di gennaio un “pentito” racconta la scena ai giornalisti del Fatto.
“Il capo dei militari ha urlato a lungo. E ha costretto il dipendente del Cerimoniale ad aprire il suo regalo, convinto che avesse scambiato le scatolette o influenzato i sauditi per ottenere un Rolex. E poi diceva di meritare un regalo migliore perché lui è un alto dirigente dello Stato. È stato brutto, mi ha traumatizzato. Il gruppo nonè arrivato alle mani, però ci è mancato poco: spintoni, insulti, testate simulate”. Per la vergogna, il battibecco viene sospeso. Ma non finisce: “Quando si è capito che i sauditi stavano ascoltando e che non fosse proprio una edificante rappresentazione della delegazione da Roma, la scorta ha preso i pacchi per correre di sotto. L’indomani, lunedì 9, chi era scontento si è lamentato con Renzi. Così il premier ha deciso di volere per sé tutti i regali senza specificare i motivi”.
La richiesta di trasparenza
A questo punto la Bottici ed altri si muovono per ottenere la lista dei doni di Stato ricevuti dal governo italiano negli ultimi dieci anni. A giugno arriva la risposta del governo. È un no. Si va per giudici, e il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio decide:
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:
1. quanto alla domanda di accesso accoglie il ricorso e, per l’effetto:
– annulla gli atti impugnati;
– dichiara il diritto della ricorrente di accedere agli atti e documenti richiesti con l’istanza del 14.1.2016, come specificati in parte motiva, nel termine di giorni trenta dalla notificazione o comunicazione della presente sentenza;
– ordina alla Presidenza del Consiglio dei Ministri l’esibizione degli atti e documenti come specificati in parte motiva;
2. quanto alla domanda di sopralluogo, la dichiara inammissibile;
3. compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ma, incredibilmente, il governo ricorre al Consiglio di Stato (organo di appello rispetto al TAR) per bloccare tutto. Senza arrossire.