Cosa non ha imparato Letta su quei cattivoni di Grillo, Salvini e Renzi

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-01-17

Il nuovo libro dell’ex presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta, Ho imparato, pubblicato da Il Mulino, racconta dello strano legame dell’analogia tra Renzi, Grillo e Salvini: «tutti e tre si sono serviti dell’idea della distruzione dell’avversario per farsi largo e raggiungere il potere. E tutti e tre hanno giurato e spergiurato che mai, una …

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Il nuovo libro dell’ex presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta, Ho imparato, pubblicato da Il Mulino, racconta dello strano legame dell’analogia tra Renzi, Grillo e Salvini: «tutti e tre si sono serviti dell’idea della distruzione dell’avversario per farsi largo e raggiungere il potere. E tutti e tre hanno giurato e spergiurato che mai, una volta raggiunto quello stesso potere, si sarebbero comportati come i predecessori». La tesi di Letta, la cui immagine più iconica sarà la sceneggiata della campanella con cui ha omaggiato i fotografi di Palazzo Chigi di un broncio ottimamente delineato in occasione del passaggio di consegne con Renzi, che considerava – a ragione – come l’artefice della sua defenestrazione dalla presidenza del Consiglio, è che «rivolgersi all’avversario, quale che sia, evocando il vaffa, volendone fare rottami o minacciando di usare la ruspa, sottintende, nemmeno troppo indirettamente, l’intento opposto: la piena delegittimazione».

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Questa fuga dai contenuti, in corso da tempo, ha la volgarità di parola e di pensiero come precondizione. Perché il mandare a quel paese, il rottamare e l’asfaltare con una ruspa invalidano ogni tentativo di dialogo e lo svolgimento di un qualunque discorso argomentato. Ti passo sopra. Punto. In virtù di quale progetto?

Perché sono moralmente superiore e tu corrotto, oppure perché sono giovane e veloce e tu vecchio e indolente, oppure perché io sono, per eredità storica, nazionale o etnica, l’unico e legittimo abitante e proprietario della mia terra, tu tornatene da dove sei venuto. Scorciatoie che consentono di scappare dai problemi evitando di cimentarsi con la complessità.

In questa analisi, contenuta nell’undicesimo capitolo del suo libro pubblicato da Repubblica, però c’è anche qualcosa che manca. È vero che quella di Salvini, Grillo e Renzi  è un’efficacia senza progetto. Ma è altrettanto vero che la politica soffre di Horror Vacui e i tre in questione sono stati capaci di riempire un vuoto. Quel vuoto è stato creato dall’inazione, dall’incapacità e dalla cialtroneria dell’alternativa. La quale, ad esempio, non può andare tanto in giro a vantarsi di essere un’alternativa al populismo quando poi tra i suoi atti concreti inanella l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Né può pensare di poter rappresentare un’alternativa credibile al populismo chi, dopo aver individuato nel costo del lavoro uno dei freni alla crescita e all’occupazione, propone un taglio del cuneo fiscale pari alla cifra-monstre di 14 euro al mese. Di più: se l’alternativa alla ruspa è il potere per il potere, l’eterno ritorno dell’Uguale democristiano, l’inazione elevata a modello di azione politica, allora è perfettamente spiegabile la scelta di chi si butta dall’altra parte. È piuttosto facile passare sopra o scavalcare uno che sta immobile. Il sonno della ragione genera mostri, ma soprattutto la ragione fa venire sonno ai mostri.

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