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Perché la Libia non è un porto sicuro

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2018-07-23

La Corte Ue accusa Tripoli di non rispettare i diritti umani. E i racconti di chi ha vissuto nei centri di detenzione lo confermano

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Persino la Farnesina, nel sito Viaggiare sicuri, sconsiglia «assolutamente i viaggi in ragione delle precarie condizioni di sicurezza»: per questo la Libia non può essere considerato un porto sicuro. Con la decina di vedette di cui dispone la guardia costiera libica non riesce a controllare centinaia di chilometri di costa in cui operano i trafficanti, e i numeri delle morti in mare sono tornati a salire. È l’effetto più drammatico, ma non l’unico, spiega oggi Paolo G. Brera su Repubblica:

«Da quando la guardia costiera libica riporta qui i migranti — racconta il capo missione dell’Unhcr a Tripoli, Roberto Mignone — la situazione già difficile è peggiorata. I centri di detenzione sono sovraffollati». «Noi siamo presenti al momento dello sbarco — spiega Di Giacomo dell’Oim — ma poi le persone vengono mandate nei centri di detenzione arbitraria in cui vengono tenuti anche i bambini in condizioni di vita inaccettabili».

«Purtroppo in Libia le milizie controllano tutto — dice Francesca Mannocchi, ultima giornalista italiana ad aver visitato i centri di detenzione — hanno ottenuto persino il diritto di intercettare i telefoni e le mail di giornalisti e attivisti. Ho incontrato ottime persone, tra gli operatori dei centri, ma in maggioranza sono sotto ricatto. Se i trafficanti vogliono ragazze minorenni da spedire in Italia come prostitute, le ottengono. Si compra tutto, la corruzione è estremamente diffusa anche nelle istituzioni».

libia porto sicuro

Rotte, sbarchi e soccorsi nel Mediterraneo (La Repubblica, 23 luglio 2018)

I centri di detenzione ufficiali, in Libia, sono 17. Secondo l’Unhcr ospitano 11mila persone. E ci sono 53mila rifugiati, molti dei quali non hanno intenzione di venire in Europa. Il rapporto ufficiale dell’ONU uscito tre mesi fa denunciava la «detenzione arbitraria di intere famiglie su base tribale», e l’assenza «di accesso alla giustizia per le vittime mentre le milizie — pagate anche con soldi italiani — godono di totale impunità».

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