Lavorare sei ore aumenta la produttività

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-06-07

L’ennesimo esperimento svedese conferma che i lavoratori sono più felici e che la giornata corta consente di assumere più personale. Che però necessita di una più efficiente organizzazione dell’orario di lavoro. La stessa che renderebbe più produttive le giornate lavorative normali

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Almeno una volta all’anno i giornali di tutto il pianeta sono tenuti a pubblicare la notizia dell’esperimento svedese sulla riduzione dell’orario di lavoro e la giornata corta. Come sempre l’esperimento avviene a Göteborg, la città dove 13 anni fa la Toyota iniziò a sperimentare la giornata lavorativa da sei ore. Qualche tempo fa, a inizio 2015, una casa di riposo di Göteborg ha provato a ridurre l’orario di lavoro delle infermiere dalle otto alle sei ore. Nel 2014 lo stesso esperimento era stato svolto dall’amministrazione comunale cittadina.

I benefici teorici di questo cambiamento sono tanti, scriveva a ottobre 2015 il Sole 24 Ore spiegando che grazie al nuovo orario sono diminuite le assenze per malattia, i casi di depressione e ed è aumentata anche l’occupazione. Perché per poter garantire gli stessi servizi si rende necessario assumere altro personale in copertura per le ore “non lavorate”. Le uniche condizioni richieste per ottenere il beneficio dell’orario ridotto erano di non usare Facebook o altri social network durante l’orario di lavoro e di non rispondere a email o chiamate personali. Insomma limitare al minimo le distrazioni per essere più efficienti. Ma tutti i test condotti fin’ora non sembrano essere stati così conclusivi, dal momento che a parte la Toyota e un altro paio di aziende in Svezia la giornata lavorativa rimane di otto ore. L’esperimento condotto alla casa di riposo per anziani Svartedalens apparentemente è diverso, perché è stato condotto su un gruppo omogeneo di lavoratrici. I risultati però sono sempre gli stessi: lavoratori meno inclini a prendersi giorni di malattia e un livello di “felicità” complessivamente maggiore rispetto alle infermiere del gruppo di controllo (ovvero quelle che hanno continuato con i normali turni lavorativi). Ci sono naturalmente degli importanti distinguo: il primo è che quello che vale per una certa professione non vale necessariamente per un’altra. Fare l’infermiera (o il medico) e lavorare in un ufficio non sono attività lavorative facilmente comparabili. Il secondo aspetto riguarda l’organizzazione del lavoro. Per poter lavorare meno è necessario che la giornata di lavoro sia organizzata in modo efficiente, altrimenti il rischio è quello di riprodurre lo stesso tipo di problemi della giornata da otto ore, senza uscire da un circolo vizioso. E nel concetto di efficienza e riduzione dello stress dei lavoratori entrano anche in gioco le infrastrutture e i servizi di mobilità pubblica: ovvero il sistema dei trasporti utilizzato per poter arrivare a lavoro. C’è infine un problema di risorse economiche: la casa di riposo di Svartedalens ha dovuto assumere 15 infermiere per coprire i turni delle colleghe che lavoravano sei ore. Solo la metà del costo per i nuovi salari è stato coperto dalla riduzione dei costi per i giorni di malattia. C’è poi da evidenziare il fatto come non sia stato valutato il livello complessivo dei servizi forniti dalle lavoratrici e giornata ridotta. Insomma, nel complesso l’esperimento non ha detto molto di nuovo, ed è assai probabile che un’idea del genere possa funzionare solamente nei paesi ricchi che si possono permettere di sostenere il maggior costo di una giornata lavorativa breve.

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