Economia
Laura Ferrara: l'onorevole M5S che vuole il no all'euro e il sì all'Unione»
neXtQuotidiano 26/06/2016
«Personalmente sono contraria alla permanenza. Come Movimento vogliamo indire un referendum. Occorre una riforma costituzionale»
Laura Ferrara, avvocata ed europarlamentare 5 Stelle, rilascia oggi un’intervista a Repubblica per spiegare la posizione dei grillini sull’euro. La deputata fa parte del M5S Europa, che ha firmato il famoso post sul Blog delle Stelle con il punto dieci cambiato rispetto al post di un mese prima. Facciamo attenzione alle sue domande e alle sue risposte:
Facciamo chiarezza: voi chiedete l’uscita dall’euro o dall’Unione?
«Non possiamo arrogarci il diritto di chiedere l’uscita dall’Unione. Guardi Facebook dopo Brexit: c’è chi ci dice “via subito dall’Unione” e chi invece scrive “non scherziamo, siete impazziti?”. Ad oggi la posizione è che siamo dentro, e proviamo a fare una serie di aggiustamenti dall’interno. Altra cosa è l’euro».
Siete per l’uscita?
«Personalmente sono contraria alla permanenza. Come Movimento vogliamo indire un referendum. Alcuni nostri eurodeputati hanno incontrato esperti per valutare le conseguenze dell’uscita dalla moneta unica. Non è una cosa fattibile dall’oggi al domani, naturalmente, e occorre una riforma costituzionale».
Ma lo sa che non esiste la possibilità di uscire dall’euro restando nell’Unione? Anzi, per uscire dall’euro si deve uscire proprio dall’Unione.
«Ci sono pareri che vanno in un senso o in un altro. Se c’è una cosa che ho capito in due anni all’Europarlamento, e qui parlo anche da giurista, è che la legge è in mano ai legislatori. Se si vuole fare una cosa, il modo si trova».
Ma non si può, onorevole.
«Metta il caso che Renzi decida di rinegoziare la posizione dell’Italia sull’eurozona. Se ci si pone un obiettivo politico, poi il modo per raggiungerlo si trova».
Brexit: cosa avrebbe votato?
«Non abbiamo espresso una posizione, sono questioni che riguardano il Regno Unito. E non so come avrei votato».
Non vi imbarazza la compagnia della Lega nella richiesta di referendum?
«Senta, del referendum abbiamo discusso lungamente, raccolto le firme, presentato il ddl per indirlo. Se poi la Lega e magari altri partiti ci sostengono, cosa ci importa? Conta l’obiettivo».
C’è da segnalare che Luigi Di Maio ha parlato qualche giorno fa di doppio euro, euro 2.0 o monete alternative per il superamento della moneta unica. All’epoca della raccolta firme (che furono alla fine duecentomila e non un milione come pronosticato dai grillini) il M5S scrisse sul blog di Grillo che il referendum si sarebbe tenuto tra dicembre 2015 e gennaio 2016.
Ma attenzione: quello dei grillini è un referendum consultivo, mentre l’eurodeputata Laura Ferrara pare consapevole del fatto che si debba effettuare una riforma costituzionale per rendere possibile un referendum sui trattati («Personalmente sono contraria alla permanenza. Come Movimento vogliamo indire un referendum. Alcuni nostri eurodeputati hanno incontrato esperti per valutare le conseguenze dell’uscita dalla moneta unica. Non è una cosa fattibile dall’oggi al domani, naturalmente, e occorre una riforma costituzionale»). La strada che indica l’europarlamentare sembra quindi diversa da quella del referendum consultivo proposta dal M5S in Italia.
L’impossibile referendum sull’euro
Altrove abbiamo spiegato perché il referendum non sarebbe una buona idea. Come è noto, la Costituzione proibisce referendum in materia di trattati internazionali e l’euro è stato istituito proprio tramite un trattato internazionale, quello di Maastricht (1992). Pertanto, per fare un referendum ,sia pure consultivo, è necessaria una legge costituzionale, come fu quella che permise il referendum di indirizzo del 1989 in cui gli italiani dissero sì (88%) ai poteri costituenti per il parlamento europeo. Stando così le cose, bisognerebbe trovare una maggioranza dei due terzi in parlamento. In caso contrario, con una maggioranza semplice, basterebbe che un quinto dei deputati o senatori chiedesse un referendum confermativo (come quello a cui saremo chiamati in ottobre) per trovarci in una situazione paradossale: un referendum per confermare la convocazione di un referendum per uscire dall’euro.
E questo è ancora nulla. Qualora i sondaggi dessero in vantaggio l’opzione di uscita dall’euro, chiunque abbia un gruzzoletto incomincerebbe a trasferire capitali all’estero, semplicemente vendendo i titoli italiani e comprando titoli esteri, ad esempio bund tedeschi. Un po’ per timore, un po’ per poter lucrare sulla svalutazione della nuova moneta. Molti, come accaduto in Grecia, assalirebbero gli sportelli per ritirare i propri soldi dalle banche, che probabilmente dovrebbero chiudere i battenti per settimane. Lo spread salirebbe a cifre mai viste prima e quasi certamente la BCE non interverrebbe per calmare le acque. Sospinti dallo spread, anche i tassi di interesse salirebbero, strozzando l’economia. Le banche, tra corsa agli sportelli e fughe di capitali, chiuderebbero tutti i (pochi) rubinetti del credito. Il mercato interbancario europeo farebbe carne di porco delle nostre banche. Alcune, quelle più in bilico, potrebbero fallire e dovrebbero essere salvate dallo stato, che per farlo dovrebbe indebitarsi, ma a tassi oltremodo svantaggiosi. La BCE ci concederebbe la liquidità di emergenza con il contagocce, creando così una stretta monetaria che porterebbe il paese alla paralisi.
Un’immediata e severa recessione sarebbe inevitabile. Il governo probabilmente ad un certo punto si troverebbe costretto a imporre il controllo dei movimenti di capitali, cosa che renderebbe particolarmente difficoltosa la vita delle nostre imprese, che avrebbero difficoltà ad approvvigionarsi di materie prime e semilavorati. Il che renderebbe anche difficile esportare al fine di finanziare l’import. Insomma, un disastro annunciato. Si badi bene che il pericolo che correrebbe l’Italia sarebbe maggiore di quello che ha corso la Grecia, che peraltro è tutt’ora in recessione, perché quest’ultima ha quasi tutto il debito pubblico fuori dal mercato (in mano all’Unione Europea e al FMI), mentre il nostro è quasi completamente sul mercato.
Basta immaginarsi in che clima si svolgerebbe un referendum sull’euro per anticipare il suo risultato: un secco no all’uscita. A differenza dei greci, infatti, gli italiani qualche risparmio ce l’hanno ancora e quindi sentono di avere qualcosa da perdere se la loro banca fallisce.