La nuova legge contro il cyberbullismo ucciderà il web?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-09-19

Secondo alcuni un emendamento alla proposta di legge sul cyberbullismo porterebbe alla fine del web come lo conosciamo. Per la relatrice Elena Ferrara molto più semplicemente quell’emendamento che introduce pene da uno a sei anni di carcere per gli adulti rovina una buona legge che manca al Paese da ormai troppi anni

article-post

La nuova legge contro il cyberbullismo ucciderà i blog e i siti Internet? Lo scrivono e lo sostengono in molti, soprattutto l’avvocato Fulvio Sarzana sul Fatto Quotidiano che lancia l’allarme riguardo la possibilità che la legge contro i cybebulli (e quindi a tutela dei minorenni preseguitati dai bulli informatici) possa essere applicata anche per difendere soggetti maggiorenni dagli “attacchi del Web”. In realtà però la legge contro gli abusi perpetrati per via informatica non è ancora tale, visto che è al momento un disegno di legge (uno dei tanti sul tema) attualmente fermo in Parlamento.
cyberbullismo-legge-1

Davvero la legge contro il cyberbullismo porterà alla censura dei blog e al carcere per i blogger?

La proposta di legge recante “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo” è infatti stata approvata al Senato ma deve ancora essere votata in aula alla Camera. Durante questa legislatura a Montecitorio era già stata presentata nel 2014 un’altra proposta di legge contro il cyberbullismo (a firma la responsabile Pd al Welfare Micaela Campana) e un’altra nel 2015 (assorbita in quella in discussione attualmente). Insomma che il tema sia un argomento molto sentito, soprattutto in ambito scolastico, è indubbio, ma perché una legge per tutelare i minori dovrebbe andare ad intaccare diritti fondamentali e garantiti dalla Costituzione come la libertà di stampa e di opinione? A spiegarcelo è David Puente che ha analizzato il testo del disegno di legge in esame alla Camera e ci spiega che se inizialmente nel testo il cyberbullismo veniva definita un’attività di “pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali” ai danni di soggetti minorenni con i successivi emendamenti la definizione della vittima di tale forma di molestia – reiterata o meno – viene ampliata fino a comprendere tutte le persone che vengono percepite più vulnerabili. In particolare la definizione di cyberbullismo (secondo un recente rapporto ISTAT un adolescente su due è stato vittima di bullismo online o nella vita reale) è la seguente:

Per cyberbullismo si intendono, inoltre, la realizzazione, la pubblicazione e la diffusione on line attraverso la rete internet, chat-room, blog o forum, di immagini, registrazioni audio o video o altri contenuti multimediali effettuate allo scopo di offendere l’onore, il decoro e la reputazione di una o più vittime, nonché il furto di identità e la sostituzione di persona operate mediante mezzi informatici e rete telematica al fine di acquisire e manipolare dati personali, nonché pubblicare informazioni lesive dell’onore, del decoro e della reputazione della vittima.

Naturalmente una cosa sono le pene previste nel caso il reato venga commesso da minorenni nei confronti di altri soggetti minori, un’altra sono quelle a carico degli adulti che si macchiano di crimini analoghi (ricordiamo che simili forme di vessazione sono già punite dalla legge contro lo stalking). In nessun caso viene colpevolizzata la Rete “in sé” quanto l’uso che alcuni soggetti ne possono fare per molestare le loro vittime. A questo punto interviene un altro emendamento che mira a introdurre un’aggravante al reato di stalking con una pena da 1 a 6 anni di carcere in modo da tutelare anche gli adulti dal fenomeno del bullismo on line. Perché è vero che si tratta di un tipo di comportamento i cui autori e vittime sono principalmente minorenni, però non possiamo escludere che anche gli adulti possano cadere nella trappola. Esistono però già strumenti (ad esempio la diffamazione) per tutelare l’onorabilità dei soggetti vittime di questo genere di attacchi. Ma perché allora tanto clamore riguardo il fatto che si tratti di una legge liberticida? La paura, espressa per la verità non solo da Sarzana, è che una norma del genere possa venire applicata anche a blog, siti satirici che prendono di mira e criticano personaggi politici. È una possibilità ma sembra più che altro l’argomento della china pericolosa visto che un’interpretazione in questo senso della legge contro il bullismo online sarebbe decisamente discutibile. Alcune perplessità riguardo all’emendamento che introduce però le ha anche Elena Ferrara, la prima firmataria della proposta di legge che fu la professoressa di Carolina la quindicenne novarese vittima di episodio di cyberbullismo suicidatasi nel 2013. In un’intervista concessa a Vita la Ferrara spiega che l’ampliamento della definizione di cyberbullismo ai maggiorenni e l’ottica sanzionatoria rischiano di rovinare il lavoro fatto sul testo, una legge importante perché in Italia non viene punito il cyberbullismo:

Cosa non condivide?
C’è una forte modifica del testo del Senato in ottica sanzionatoria, introducendo addirittura il penale. E si amplia la definzione di cyberbullismo, allargandolo anche ai maggiorenni. In sostanza oggi abbiamo un testo che pone entro la definizione di cyberbullismo anche reati come il furto d’identità (già previsti dalle nostre leggi) e allarga non solo ai minori ma anche agli adulti la possibilità ottenere l’oscuramento e la rimozione dei contenuti offensivi o lesivi dell’onore, del decoro e della reputazione della vittima. Abbiamo lavorato due anni per costruire un accordo su questo con le aziende e i gestori, c’era un impegno a rimuovere i contenuti proprio per tutelare i minori, ora però se ci sganciamo dai minori e diamo questa possibilità a tutto il mondo, allargando il concetto di cyberbullismo anche agli adulti, dubito ci potrà essere lo stesso tavolo tutelante. Quel patto educativo preventivo si basava sul fatto che si parlasse di minori, ora temo che non sarà la stessa cosa. Il testo presta facilmente il fianco all’accusa di demonizzare la rete e di limitare la libertà di espressione sul web: alcuni giornali hanno parlato di una norma “ammazza web”.
Che inasprimento dell’approccio sanzionatorio c’è invece?
L’articolo 6-bis va a modificare l’articolo 612-bis del codice penale, quello sul reato di stalking, introducendo un’aggravante: la pena per il cyberbullismo come aggravante dello stalking va da uno a sei anni di reclusione, più della pena prevista nel caso in cui l’autore di stalking sia l’ex marito o il fidanzato. È vero che l’ammonimento mette al riparo gli infraventunenni, il problema è che con un articolo 1 che definisce il cyberbullismo senza legami con la reiterazione e un articolo 6 che dà questa aggravante, si crea la situazione paradossale per cui davvero anche solo una condotta isolata può portare a sei anni di carcere. Non abbiamo bisogno di reati ma di interventi educativi per i nostri ragazzi, che restano sempre più intrappolati nell’incapacità di gestire le relazioni immateriali.

Paolo Beni, altro relatore del PD, ritiene invece che il problema del bullismo online non riguardi solo i minorenni (ed è vero, se pensiamo alla tragica vicenda di Tiziana Cantone) ma non possiamo non pensare come per punire gli adulti esistano già delle leggi adeguate e che non abbia senso legare il destino di un provvedimento tanto atteso come quello sul bullismo adolescenziale con reati di tutt’altra natura. Ma risulta davvero difficile poter affermare che, ammesso e non concesso che la proposta di legge venisse approvata così com’è, l’introduzione di un’aggravante per il reato di stalking possa andare a limitare la libertà di stampa o di espressione, per altro già sottoposta alle norme che puniscono l’ingiuria e la diffamazione. A margine della discussione sull’interpretazione giuridica c’è inoltre da fare una riflessione sul fatto che lo spazio virtuale noto come Internet non possa essere una terra senza legge. Accadono on line episodi di aggressione anche violenta che a volte hanno conseguenze reali sulla vita delle persone e dal momento che la vita online e la vita reale non sono distinte e separate è giusto che quelli che vengono definiti “utenti” – ma che prima di tutto sono cittadini – rispettino le regole della convivenza civile.

Potrebbe interessarti anche