Fact checking

La scissione del PD è… divisa

Alessandro D'Amato 18/02/2017

Un video di Massimo D’Alema che parla del PD. Un sondaggio che regala buoni numeri alla nuova forza di sinistra. E in mezzo la verità: è la minoranza ad essere divisa al suo interno sull’abbandono del PD. Mentre sono i renziani a soffiare sul fuoco della scissione. Tutti perché hanno un interesse in comune: i prossimi posti in Parlamento

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«Lo chiamiamo in un modo che non dispiace a nessuno: perché “Verdi” è duro, “Sinistra” suona male, “democratici” siamo tutti… ed è fatta! Chi può essere contro un prodotto così straordinariamente perfetto?»: era un Massimo D’Alema in gran forma quello che nel 1999 sfotteva con un sarcasmo crudele i tentativi di mettere insieme L’Asinello, il PPI, i Democratici di Sinistra e i Verdi in un unico progetto che trovava sponde da Arturo Parisi a Walter Veltroni. Preistoria.

La scissione del PD è… divisa

A 18 anni di distanza D’Alema è ancora là in prima fila a combattere per quella scissione che oggi sui giornali sembra essere più vicina. «Una scissione non è un dramma, ma l’inizio di una ricostruzione», ha detto ieri  a Lecce, presentando il Movimento Consenso. “Ritengo probabile che Renzi acceleri la convocazione del congresso perché sul cammino più lungo rischia di perdere. In questo caso ci sara’ una scissione, che non e’ un dramma ma l’inizio di una ricostruzione per cercare di unire le forze che rischiano di disperdersi”. “La nascita di un movimento che sia oltre questo PD servirà a recuperare il consenso di molte persone deluse – ha aggiunto D’Alema – anche per costruire un argine al pericolo della nuova destra”. Oggi al teatro Vittoria è atteso con Pierluigi Bersani. Solo l’ex segretario, con la sua ‘pattuglia’ parteciperà all’assemblea dem mentre è probabile che sia assente l’ex premier che ha lanciato la proposta di una costituente della sinistra italiana per la quale, da Rimini, l’ex dem Alfredo D’Attore, propone di inserirvi tra i fondatori anche Si. E che dovrebbe coinvolgere anche il Campo Progressista di Giuliano Pisapia. Michele Emiliano e Roberto Speranza saranno invece a Rimini.

Ma il problema è che la sinistra del Partito Democratico è già divisa. Racconta oggi Francesca Schianchi sulla Stampa che il problema è il leader da trovare per sfidare Renzi:

Perché questo nuovo «movimento forte alla sinistra del Pd neocentrista» dovrà trovare il suo leader, e non potrà essere uno dei due ex segretari. Un tema che rischia già di creare un problema nella nascente formazione. Nella triade Emiliano-Rossi-Speranza tutti hanno ambizioni di guida, tutti e tre già si erano candidati al congresso del Pd. «Troppi leader per un movimento solo…», commenta malizioso qualche renziano, ritenendo questa una delle ragioni che spinge verso la rottura: nessuno vuole fare un passo indietro, ma se si candidassero al congresso, dividendosi i voti di sinistra, ciascuno sarebbe surclassato da Renzi. Che, non a caso, vuole una conta in tempi brevi «così non gli lasciamo il tempo di organizzarsi».
Per qualche giorno, dopo la Direzione, si è ragionato su una candidatura di Andrea Orlando, che da ministro leale a Renzi per anni, nella riunione di lunedì ha preso clamorosamente le distanze. «Se fossi certo che la mia candidatura alla segreteria potesse evitare la scissione lo avrei già fatto», ha dichiarato ieri. Ma, appunto, il fatto che non sia stata formalizzata significa che non sarebbe risolutiva. «Se Orlando avesse detto a Renzi: “Mi candido alla segreteria e scongiuro la scissione, ma devi spostare il congresso in autunno”, allora avremmo potuto sostenerlo», spiega un bersaniano, «ma non l’ha fatto». Oggi potrebbe presentarsi al Teatro Vittoria.

Il sondaggio e il ministro

Intanto un sondaggio pubblicato oggi sul Corriere della Sera e a cura di Nando Pagnoncelli-IPSOS spiega che “la possibile nuova forza di sinistra già testata due settimane fa, registra una lieve crescita di consenso passando dal 3,7% al 4,3% sul totale degli elettori (6,5% sui voti validi). Se si aggiungono gli elettori potenziali, cioè quelli che sebbene dubbiosi non escludono di poterla votare (2%, che diventa il 3% dei voti validi), il consenso passa dal 5,6% al 6,3%. All’incirca la metà dell’elettorato potenziale (3,2%) proverrebbe dal Pd mentre gli altri dall’astensione, da altre liste di sinistra e dal M5S”. Poco, abbastanza, molto? Dipenderà dalla legge elettorale che potrebbe uscire da eventuali accordi tra i partiti che a questo punto escluderebbero la nuova forza nata in Parlamento con le eventuali adesioni della minoranza Dem. Dalle quali già oggi si sfila Gianni Cuperlo, che parla di sciagura a proposito del progetto di scissione: «Discuterò con i miei compagni farò di tutto per ricostruire le ragioni di un Pd in cui la sinistra non sia un ospite indesiderato e mi batterò per alternativa vincente al renzismo».

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Il sondaggio sulle potenzialità di un nuovo partito a sinistra (Corriere della Sera, 18 febbraio 2016)


Intanto Graziano Delrio, che in un fuorionda rivelatore ieri aveva spiegato alla perfezioni le miserabili ragioni alla radice di questa scissione a freddo, oggi riesce nell’impresa di effettuare una clamorosa marcia indietro all’insegna della negazione dell’evidenza. Dice il ministro a Monica Guerzoni sul Corriere:

Eppure lei stesso nel fuorionda fa capire che i renziani sarebbero contenti se Bersani e Speranza se ne andassero, liberando un po’ di posti nelle liste…
«Io non ho detto questo. Dico che in questo momento è meglio pensare ai destini del Pd e della nostra gente, più che ai calcoli di chi crede che, divisi, ci sarebbero più posti nelle liste. Non ascoltiamo i cattivi consiglieri, ma gli elettori che ci implorano di fare ogni sforzo».

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Lui però non lo ha fatto. Nemmeno una telefonata, davvero?
«Era una battuta, perché Bersani aveva affermato di non aver ricevuto nemmeno una telefonata. L’intervista del segretario al vostro giornale era di massima apertura, quindi Renzi ha fatto ben di più. Come segretario si è comportato con assoluta correttezza».

Mentre è evidente che nel video Delrio non si stava per niente riferendo a Bersani, ma a colloqui tra lui e Renzi: «Guarda, te lo dico tra te e me, io ci ho litigato di brutto perché non è che puoi trattare questa cosa come un passaggio normale… tu devi far capire che piangi se si divide il PD, non che te ne frega, chi se ne frega… Non ha neanche fatto una telefonata su… ma come cazzo fai in una situazione del genere?». Ma alla fine queste sono piccolezze. Quello che importa è che mentre ufficialmente arrivano appelli all’unità e Renzi ieri ha improvvisamente ritrovato il numero di Michele Emiliano i veri schieramenti sono questi: da una parte i renziani che soffiano sul fuoco della scissione; dall’altra la minoranza PD che fa la faccia da guerra mentre al suo interno c’è chi vuole uscire e chi vuole rimanere. Una scissione divisa. Ma la diga in California ha una crepa, direbbe Delrio in privato. Mentre in pubblico potrebbe persino riuscire a negare l’esistenza della California.

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