La rosicata di Simone Di Stefano di CasaPound contro Tolo Tolo e le cicogne di Checco Zalone

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2020-01-03

Sovranisti sull’orlo di una crisi di nervi per colpa di Tolo Tolo. Il segretario nazionale di CasaPound se la prende con una canzoncina sulle cicogne che portano i bambini, che è solo una metafora, mentre Ignazio La Russa si indigna perché viene travisato il senso “positivo” del colonialismo italiano in Africa

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«La bugia stupida della cicogna che ci fa nascere per caso in vari posti del mondo. Ognuno di noi invece è nato in un determinato luogo e appartiene ad un determinato popolo, per infinite SCELTE precise fatte dai suoi genitori, dai suoi nonni e da tutti i suoi avi. #ToloTolo». Parola di Simone Di Stefano, già vicepresidente e segretario nazionale di CasaPound Italia e candidato alla Presidenza dell’Abruzzo con Sovranità (il movimento nato da un’alleanza tra Noi con Salvini e i fascisti del terzo millennio).

Simone Di Stefano contro le cicogne immigrazioniste

Il leader di CasaPound approfitta dell’hashtag sul film di Checco Zalone Tolo Tolo per spiegarci la sua teoria sul perché una persona nasca in un determinato luogo, ad esempio in Italia invece che in Africa. Per Di Stefano non è assolutamente un caso che una persona nasca in Italia ma è il frutto di infinite scelte precise fatte dai suoi avi nel corso dei millenni. Il che è in parte vero, perché è indubbio che la maggior parte delle persone nasca perché i suoi genitori hanno deciso di metterlo al mondo. Ma finisce lì.

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Perché spesso il caso – e i corsi e ricorsi della storia – hanno “deciso” per i genitori, gli antenati e tutti gli avi. Ad esempio per quanto un ebreo italiano negli anni Trenta del Novecento si potesse impegnare per continuare la sequenza delle infinite scelte dei suoi predecessori di appartenere ad un determinato popolo (quello italiano) qualcuno (Mussolini e il regime fascista) decise che quelle infinite scelte non avevano alcun valore. Questo per dire che uno può volere (fortissimamemente volere) poter fare una scelta, ma spesso e volentieri non basta.

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D’altra parte è innegabile che da qualche parte quella eterna ghirlanda brillante di infinite scelte deve pur essere iniziata. E quindi non si capisce perché da un lato una persona debba essere ancorata a quelle scelte e non possa fare come il suo bis-bis-bis-bis-bis nonno (roba che nemmeno Paperoga) e scegliere di dare un futuro migliore alla propria eventuale discendenza. O anche solo sperare di vivere meglio, in un posto che ai suoi occhi è migliore di quello dove, per puro caso, è nato. In tutto questo non dimentichiamo un dettaglio importante: la cicogna «che ci fa nascere per caso in vari posti del mondo» non esiste. I bambini non nascono perché “li porta la cicogna” e nemmeno si trovano sotto ai cavoli. Se solo Di Stefano avesse avuto modo di seguire uno di quei terribili corsi “gender” di educazione sessuale lo saprebbe anche lui. A complicare le cose aggiungete pure il fatto che al massimo i genitori possono scegliere di far nascere “un figlio” ma che non possono deciderne il sesso biologico o altri caratteri genetici. E pensate un po’: nemmeno i genitori, i nonni e gli avi hanno mai avuto la possibilità di scegliere che figlio sarebbe nato,  se sarebbe sopravvissuto abbastanza a lungo o anche solo se sarebbe rimasto a vivere in un determinato popolo, in un determinato luogo “deciso” dal caso per lui e per tutta la sua famiglia. Insomma, la realtà è parecchio complicata, così come le storie individuali e famigliari.

La Russa e Checco Zalone come Laura Boldrini

Cosa c’entra questo con il film di Zalone? Alla fine di Tolo Tolo parte una canzoncina sulla «cicogna strabica che fa nascere i bimbi in Africa». La canzone viene cantata da dei bambini, e naturalmente è una metafora della condizione umana. In fondo se potessimo davvero scegliere dove nascere o dove far nascere i nostri figli tutti sceglieremmo un paese ricco, dove si vive bene e dove ci sono opportunità e diritti per tutti. Non è un concetto difficile da capire, ma forse anche in Italia ci sono italiani che non hanno avuto la fortuna di imparare a leggere tra le righe e capire il senso dei messaggi. Sarà colpa delle infinite scelte dei loro genitori, nonni, avi, antenati.

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E così mentre i sovranisti se la prendono per essere stati ingannati da Zalone Famiglia Cristiana sfotte Salvini e i sovranisti invitandoli ad andare vedere il film. Scrive Francesco Anfossi che «“Tolo Tolo” racconta l’Italia di oggi, il dramma del Sud, la miseria di una classe politica incapace di guardare al bene comune e soprattutto l’origine della tragedia dei migranti, la causa che li spinge a cercare miglior fortuna in Europa: la disperazione di chi ha perso tutto». Non è un caso che Di Stefano questa origine della tragedia dei migranti la riconduca alle infinite scelte degli antenati. Un modo come dire: non prendetevela con noi che non vi vogliamo, ma con i vostri nonni che hanno scelto di farvi nascere lì.

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Fonte: Il Giornale del 03/01/2020

Nel frattempo il vicepresidente del Senato Ignazio La Russa, diventato di recente critico cinematografico, ci tiene a far sapere cosa ne pensa di Tolo Tolo. Dopo il tweet di ieri La Russa ha scritto una lettera al Giornale per spiegare perché il film non gli è piaciuto. Punto primo: è noioso e soporifero. In secondo luogo Zalone non fa il comico ma è una «specie di cugino della Boldrini» con l’aggravante di essere opportunista. Il contenuto del film poi non ne parliamo: «tutti i luoghi comuni buonisti sull’immigrazione, compresa la scena finale del “ricongiungimento” (non poteva mancare) del simpatico bimbo africano
con il padre in Italia». Un colpo di scena incomprensibile per il senatore di Fratelli d’Italia. Menzione d’onore per la colonna sonora – “piacevole” – ma anche qui ci sono luci ed ombre. Per un Nicola Di Bari che ha incontrato il gradimento di La Russa c’è il fatto che «viene travisato il messaggio di Faccetta nera che semmai segnò in positivo la diversità del colonialismo italiano rispetto a quello degli altri Paesi europei». Qui però La Russa abbocca alla propaganda fascista che presentò le imprese coloniali in Africa come un’opera di liberazione delle popolazioni locali dallo schiavismo, ma era una balla. E per quanto ci si possa provare la canzonetta non descrive assolutamente la realtà di quella che fu la campagna di colonizzazione in Africa, durante la quale gli italiani si macchiarono (come tutti i colonizzatori) di crimini atroci e di violenze contro le “faccette nere” cantate nella canzone. Insomma: credere che l’allora Regno d’Italia abbia “liberato” le popolazioni africane è come credere alla cicogna. 

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