La flessibilità e gli inflessibili

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-02-03

Anche il ministro Padoan interviene nella polemica con l’Europa. Dietro c’è una possibile procedura d’infrazione per l’Italia. E un commissariamento di fatto in arrivo per Renzi proprio durante le campagne elettorali

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«Ci auguriamo che la risposta sull’ammissibilità della richiesta italiana di flessibilità sia sciolta presto da parte della Commissione Ue in modo da evitare l’incertezza che non aiuta la crescita»: anche Pier Carlo Padoan oggi si schiera nella querelle tra l’Italia e l’Unione Europea. Ballano tre miliardi di euro e una procedura d’infrazione paventata dallo stesso Matteo Renzi. Ma dietro balla soprattutto un modus vivendi all’interno dell’Europa, oltre alla politica economica italiana dei prossimi due anni, quelli che ci porteranno alle elezioni politiche.

La flessibilità e gli inflessibili

Negli ultimi tempi i rapporti tra UE e Italia sono andati peggiorando a causa di una serie di elementi concreti.  Sull’llva, il gruppo siderurgico commissariato dal governo, la Commissione ha dato il via libera a un’indagine approfondita per sospetti aiuti di Stato. Sulla Bad Bank alla fine lo stesso Padoan ha capitolato con la Garanzia sulla Cartolarizzazione delle Sofferenze rinunciando al progetto di Bad Bank che ha ballato un intero anno. In atto c’è anche un braccio di ferro sui dazi sulla Cina: i Paesi del Nord Europa vorrebbero eliminarli, l’Italia si oppone temendo conseguenze sull’export. Ma le due partite più importanti si giocano adesso.  Sui conti pubblici, in primavera il governo saprà se c’è l’ok della Commissione sulla legge di Stabilità finanziata con un aumento del deficit pari a un punto di Pil. Dal 2017, poi, ci saranno più stringenti vincoli di bilancio imposti dal Fiscal compact che Renzi vorrebbe allentare. E poi c’è il capitolo migranti. L’Italia respinge la procedura d’infrazione per la mancata registrazione dei profughi e non ha dato il via libera ai 3 miliardi che la Commissione vuole dare alla Turchia. «Lo sforzo per le riforme dell’Italia ci porta a chiedere con tutto il diritto una gestione della politica fiscale più flessibile in base a regole che ci sono e non che ci stiamo inventando e questo lo vorrei dire con fermezza», ha sottolineato oggi il ministro dell’Economia.

scontro renzi ue
La materia del contendere tra UE e Italia (La Repubblica, 3 febbraio 2015)

La flessibilità già ottenuta per il 2016 dall’Italia sulla base dell’impegno per le riforme del governo Renzi è pari allo 0,4 per cento del Pil. In primavera arriverà il giudizio della Commissione europea sulla legge di Stabilità 2015. Spiega oggi Alberto D’Argenio su Repubblica:

L’Italia ha chiuso il 2015 con un deficit al 2,6% del Pil, per le regole Ue avrebbe dovuto risanare fino all’1,4%, 19 miliardi. Ha già ottenuto, in virtù delle riforme, di fermarsi all’1,8%. Quindi a novembre era arrivato l’accordo informale a spingersi fino al 2,2%, ma Renzi vuole fare cifra tonda, vuole arrivare al 2,4% pari a 16 miliardi di flessibilità complessiva. Da qui i 3,3 per migranti e sicurezza sui quali si litiga. Domani Bruxelles pubblicherà le previsioni economiche e dirà che il deficit italiano sta crescendo più di quanto previsto dal governo, stimando un 2016 al 2,5%. Se la Commissione dovesse decidere di autorizzare un disavanzo fino al 2,2% e il deficit a fine anno peggiorasse ancora, Bruxelles sarebbe costretta ad aprire una procedura per deficit commissariando Renzi e impedendogli di tagliare le tasse nel 2017-2018, in piena campagna elettorale.
Padoan lima i conti, cerca di chiudere un accordo al 2,3% in modo che anche un lieve scostamento del deficit non sia tale da costringere Juncker ad aprire la procedura. Ma il vero problema è il 2017. I falchi in Commissione e all’Eurogruppo non vogliono concedere il prossimo anno altri sconti a Renzi e l’interpretazione autentica al momento sposata dalle istituzioni Ue impedisce di concedere nuova flessibilità, il che significa che il prossimo anno il governo dovrebbe portare il deficit all’1,1%: come minimo 23 miliardi di tagli. Sarebbe uno schiaffo a Renzi, che in ottobre, in concomitanza con il cruciale referendum costituzionale, dovrebbe scrivere una Legge di Stabilità lacrime e sangue che oltretutto gli impedirebbe di mettere mano alle tasse fino alle elezioni. Moscovici però offre di convincere i falchi a dare ossigeno anche nel 2017 in cambio di qualche sforzo nel 2016, appunto rinunciare ai 3,3 miliardi legati ai migranti, e in via riservata sta trattando con Padoan uno sconto di 8 miliardi per il prossimo anno. Ma al premier non bastano. Vuole di più.

Il commissariamento di Renzi prossimo venturo

Ed è inutile nascondersi il coté politico della questione, che oggi è stato spiegato con chiarezza da Stefano Feltri sul Fatto: «A Bruxelles hanno fatto due conti: i momenti più delicati in cui si fisseranno i numeri della prossima manovra cadono durante la campagna elettorale per le elezioni amministrative. E subito dopo l’estate si capirà chi ha vinto nello scontro tra Roma e Bruxelles, proprio quando Renzi si starà preparando al referendum sulla riforma costituzionale. Se perde, ha detto, finisce la sua esperienza politica. Il sospetto è quindi che Renzi abbia deciso di scaricare sulla Commissione tutti i suoi problemi di bilancio. E se non otterrà quello che chiede, potrebbe rifiutarsi di applicare le clausole di salvaguardia». Trovandosi così nel pieno dello scontro politico con l’UE proprio durante la campagna elettorale del referendum sulle riforme. A parte questo, però, sono proprio le condizioni dell’economia italiana (e di quella europea) che dovrebbero consigliare alle commissioni maggiore prudenza e ai governi di tenere il punto. Perché se c’è un rischio di commissariamento, c’è anche il rischio di anteporre alle ragioni elettorali quelle del Paese. Un rischio che è una certezza, visto l’immondo spettacolo offerto da alcuni in presenza del nemico comune:
renzi botte
Ma se l’opposizione sta con la Trojka,  gli spazi di manovra politica per Renzi sono pochi. Ma non sono nulli. Il premier italiano deve sperare che in Spagna si formi un governo progressista con PSOE e Podemos. In tal modo potrà contare su un appoggio di un paese significativo dell’eurozona, perché certo Grecia e Portogallo non bastano. Hollande si troverà dall’altra parte, schierato con Merkel, almeno finché non si renderà conto che se l’Italia fallisce, la prima a venire giù è la sua Francia. Il premier dovrebbe anche mettere in conto di arrivare ad uno scontro frontale con Bruxelles nei prossimi mesi. In ogni caso non sarebbe facile, e il pericolo di essere stretto nella morsa dell’asfissia monetaria è concreto, soprattutto se l’Italia dovesse essere costretta a ricorrere alla liquidità di emergenza della BCE. Ma l’Italia, val la pena ricordarlo, non è la Grecia, e non c’è dubbio che se qualcuno mettesse in dubbio la futura presenza del nostro paese nell’area euro, la moneta unica avrebbe i giorni contati. Renzi sarà abbastanza coraggioso per giocare questa partita?

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