La desertificazione progressiva del Sud

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-07-30

Uno su tre è povero, al Nord sono uno su dieci. L’anno scorso i consumi nell’Italia meridionale sono stati i due terzi di quelli del Centro-Nord. E non si fanno più figli. Il crollo degli investimenti nell’industria e dei consumi

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Un Paese diviso e diseguale, dove il Sud scivola sempre più nell’arretramento: nel 2014 per il settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno è ancora negativo (-1,3%); il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di 15 anni fa; negli anni di crisi 2008-2014 i consumi delle famiglie meridionali sono crollati quasi del 13% e gli investimenti nell’industria in senso stretto addirittura del 59%; dal 2000 al 2013 il Sud è cresciuto la metà della Grecia; nel 2014 quasi il 62% dei meridionali guadagna meno di 12.000 euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord. Questa la fotografia che emerge dalle anticipazioni del Rapporto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno 2015. Nel 2014 il Pil è calato al sud dell’1,3%, rallentando la caduta dell’anno precedente (-2,7%), con un calo superiore di oltre un punto percentuale rispetto al Centro-Nord (-1,3%). Per il 7° anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno registra segno negativo, a testimonianza della permanente criticità dell’area. Il peggior andamento del Pil meridionale nel 2014 è dovuto soprattutto ad una piu’ sfavorevole dinamica della domanda interna, sia per i consumi che per gli investimenti.
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LA CRESCITA DELL’ITALIA E LA GRECIA
 
In tredici anni, dal 2000 al 2013, l’Italia e’ stato il Paese che è cresciuto meno, +20,6% rispetto al +37,3% dell’area Euro a 18, addirittura meno della Grecia, che ha segnato +24% quale effetto della forte crescita negli anni pre crisi, che è riuscita ad attenuare in parte il crollo successivo. La situazione è decisamente piu’ critica al Sud, che cresce nel periodo in questione la metà della Grecia, +13%: oltre 40 punti percentuali in meno della media delle regioni Convergenza dell’Europa a 28 (+53,6%). I consumi delle famiglie meridionali sono ancora scesi, arrivando a ridursi nel 2014 dello 0,4%, a fronte di un aumento del +0,6% nelle regioni del Centro-Nord. Qui si e’ registrato un recupero dei consumi di beni durevoli, con un aumento delle spese per vestiario e calzature (+0,3%) e di altri “beni e servizi”, categoria che racchiude i servizi per la cura della persona e le spese per l’istruzione (+0,9%). In crescita nel Centro-Nord anche i consumi alimentari (+1%), a fronte della contrazione del Mezzogiorno (-0,3%). In generale nel 2014 i consumi pro capite delle famiglie del Mezzogiorno sono stati pari al 67% di quelli del Centro-Nord. Guardando invece agli anni di crisi 2008-2014, la caduta cumulata dei consumi delle famiglie ha superato nel Mezzogiorno i 13 punti percentuali (-13,2%), risultando di oltre due volte maggiore di quella registrata nel resto del Paese (-5,5%). In particolare, negli anni 2008-2014 il calo cumulato della spesa è stato al Sud del -15,3% per i consumi alimentari, a fronte del -10,2% del Centro-Nord; e di ben il -16% per il vestiario e calzature, il doppio del resto del Paese (-8%). Significativo e preoccupante anche il crollo della spesa delle famiglie relativo agli altri “beni e servizi”, che racchiudono, come indicato, i servizi per la cura della persona e le spese per l’istruzione: -18,4% al Sud, oltre tre volte in più rispetto al Centro-Nord (-5,5%).
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Nel 2014 a livello nazionale il valore aggiunto del manifatturiero è diminuito dello 0,4% rispetto al 2013, quale media tra il -0,1% del Centro-Nord e il -2,7% del Sud. Un valore ben diverso dalla media della Ue a 28 (+1,6%), con la Germania a +2,1% e la Gran Bretagna a +2,8%. In calo anche l’industria in senso stretto: -0,7% al Centro-Nord, -3,6% al Sud. Complessivamente negli anni 2008-2014 il valore aggiunto del settore manifatturiero è crollato in Italia del 16,7% contro una flessione dell’Area Euro del -3,9%. A pesare, ancora una volta, soprattutto il Mezzogiorno: dal 2008 al 2014 il settore manifatturiero al Sud ha perso il 34,8% del proprio prodotto, e ha più che dimezzato gli investimenti (-59,3%). La crisi non e’ stata altrettanto profonda nel Centro-Nord, dove la diminuzione e’ stata meno della meta’, -13,7% del prodotto manifatturiero e circa un terzo negli investimenti (-17%). Nel 2014 la quota del valore aggiunto manifatturiero sul Pil è stata pari al Sud all’8%, un dato ben lontano dal 17,9% del Centro – Nord e dal 20% fissato dalla Commissione europea nella nuova strategia di politica industriale. In deciso ribasso anche la capacita’ produttiva; rispetto ai livelli pre crisi il Sud ha perso oltre il 30%, contro il -17% del Centro-Nord e il -5% della media della Ue a 28. Tra il 2007 e il 2013 e’ sceso anche lo stock di capitale lordo, -7,4% al Sud, + 3,1% nel resto del Paese. Quanto agli occupati, nel 2014 gli addetti al comparto scendono dello 0,2% al Sud contro il +0% dell’altra ripartizione. Nell’intero periodo 2008-2014, comunque, la caduta dell’occupazione e’ stata di oltre il -20% al Sud, contro il -13,4% del Centro-Nord. In continua discesa, secondo SVIMEZ, anche la produttivita’ del manifatturiero meridionale, sceso al 58,2% del Centro-Nord nel 2014 (nel 2000 era pari al 74,5% dell’altra ripartizione). Il Sud e’ ormai a forte rischio di desertificazione industriale, con la conseguenza che l’assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all’area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente.
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IL CROLLO DEGLI INVESTIMENTI NELL’INDUSTRIA
Anche nel 2014 gli investimenti fissi lordi hanno segnato una caduta maggiore al Sud rispetto al Centro-Nord: -4% rispetto a -3,1%. Dal 2008 al 2014 sono crollati del 38% nel Mezzogiorno e del 27% nel Centro-Nord, con una differenza tra le due ripartizioni di 11 punti percentuali. A livello settoriale, crollo epocale al Sud degli investimenti dell’industria in senso stretto, ridottisi dal 2008 al 2014 addirittura del 59,3%, oltre tre volte in piu’ rispetto al gia’ pesante calo del Centro-Nord (-17,1%). Calano anche gli investimenti nelle costruzioni, con un calo cumulato del -47,4% al Sud e del -55,4% al Centro-Nord; in agricoltura, (-38% al Sud, quasi quattro volte piu’ del Centro-Nord, -10,8%). Quasi allineata nella crisi la dinamica dei servizi collegati all’industria: -33% al Sud, -31% al Centro-Nord.  Il Mezzogiorno tra il 2008 ed il 2014 registra una caduta dell’occupazione del 9%, a fronte del -1,4% del Centro-Nord, oltre sei volte in piu’. Delle 811.000 persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro nel periodo in questione, ben 576.000 sono residenti nel Mezzogiorno. Nel Sud, dunque, pur essendo presente appena il 26% degli occupati italiani si concentra il 70% delle perdite determinate dalla crisi. Nel 2014 i posti di lavoro in Italia sono cresciuti di 88.400 unita’, tutti concentrati nel Centro-Nord (133.000). Il Sud, invece, ne ha persi 45.000. Il numero degli occupati nel Mezzogiorno torna cosi’ a 5,8 milioni, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni; il livello piu’ basso almeno dal 1977, anno da cui sono disponibili le serie storiche dell’Istat. Tornare indietro ai livelli di quasi 40 anni fa testimonia, da un lato, il processo di crescita mai decollato, e, dall’altro, il livello di smottamento del mercato del lavoro meridionale e la modifica della geografia del lavoro. Ma, secondo SVIMEZ, vi sono comunque segnali di un debole miglioramento nell’ultimo periodo, tra il primo trimestre del 2014 e quello del 2015, infatti, gli occupati sono saliti in Italia di 133.000 unita’, di cui 47.000 al Sud e 86.000 al Centro-Nord. In calo le persone in cerca di occupazione, scese in Italia nel primo trimestre 2015 a 3 milioni 302.000 unita’, 145.000 in meno rispetto all’anno precedente.
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Le donne continuano a lavorare poco: nel 2014 a fronte di un tasso di occupazione femminile medio del 64% nell’Europa a 28 in eta’ 35-64 anni, il Mezzogiorno e’ fermo al 35,6%. Ancora peggio se si osserva l’occupazione delle giovani donne under 34: a fronte di una media italiana del 34% (in cui il centro-Nord arriva al 42,3%) e di una europea a 28 del 51%, il Sud si ferma al 20,8%. Tra i 15 e i 34 anni sono quindi occupate al Sud solo una donna su 5. Dal 2008 al 2014, inoltre, i posti di lavoro per le donne sono cresciute di 135.000 unita’ al Centro-Nord, mentre sono scesi di 71.000 al Sud. Quanto ai tipi di lavoro, crescono nel periodo in questione del 14% le professioni non qualificate, mentre diminuiscono del 10% le qualificate.  Continua l’andamento contrapposto dell’occupazione tra i giovani e i meno giovani. I primi, under 34, hanno visto perdere in Italia dal 2008 al 2014 oltre 1 milione e 900mila posti di lavoro, pari a -27,7%, di cui quasi il 32% al Sud. Viceversa, nella fascia d’eta’ 45-54 anni e 55-64 i posti di lavoro sono cresciuti rispettivamente di 696mila unita’ e di oltre 1 milione. Il Sud negli anni 2008-2014 perde 622mila posti di lavoro tra gli under 34 e ne guadagna 239mila negli over 55.
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UNA PERSONA SU TRE A RISCHIO POVERTÀ
In Italia negli ultimi tre anni, dal 2011 al 2014, le famiglie assolutamente povere sono cresciute a livello nazionale di 390.000 nuclei, con un incremento del 37,8% al Sud e del 34,4% al Centro-Nord. Quanto al rischio poverta’, nel 2013 in Italia vi era esposto il 18% della popolazione, ma con forti differenze territoriali: 1 su 10 al Centro-Nord, 1 su 3 al Sud. La regione italiana con il piu’ alto rischio di poverta’ e’ la Sicilia (41,8%), seguita dalla Campania (37,7%). La poverta’ assoluta e’ aumentata al Sud rispetto al 2011 del 2,2% contro il +1,1% del Centro-Nord. Nel periodo 2011-2014 al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute di oltre 190.000 nuclei in entrambe le ripartizioni, passando da 511mila a 704.000 al Sud e da 570.000 a 766.000 al Centro-Nord. Guadagna meno di 12.000 euro annui quasi il 62% dei meridionali, contro il 28,5% del Centro-Nord. Particolarmente pesante la situazione in Campania (quasi il 66% dei nuclei guadagna meno di 12.000 euro annui), Molise (70%) e Sicilia (72%).
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Dal 2001 al 2014 la popolazione è cresciuta a livello nazionale di circa 3,8 milioni, di cui 3,4 milioni al Centro-Nord e 389.000 al Sud. In 10 anni, dal 2001 al 2014 sono migrate dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord oltre 1 milione 667.000 persone, di cui 526.000 under 34 e 205.000 laureati. Il tasso di fecondità al Sud è arrivato a 1,31 figli per donna, ben distanti dai 2,1 necessari a garantire la stabilita’ demografica, e inferiore comunque all’1,43 del Centro-Nord. Nel 2014 al Sud si sono registrate solo 174.000 nascite, un livello che ci riporta al minimo storico registrato oltre 150 anni fa, durante l’Unità d’Italia. Nascite in calo anche al Centro-Nord e, per la prima volta, anche nelle coppie con almeno un genitore straniero, che in precedenza avevano invece contribuito ad alimentare la ripresa della natalità nell’area. Questi i dati che emergono dalle anticipazioni del Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno che sottolinea come il Sud sarà quindi interessato nei prossimi anni da un stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili, destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, arrivando cosi’ a pesare per il 27,3% sul totale nazionale a fronte dell’attuale 34,3%.
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