Cop26 inaccessibile alla ministra di Israele: se anche l’ONU non dà il buon esempio

di Iacopo Melio

Pubblicato il 2021-11-03

La ministra con disabilità Karine Elharrar e la sua sedia a rotelle sono rimaste fuori dai tavoli dei lavori della Conferenza di Glasgow: cosa possiamo fare noi da cittadini?

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La COP26, ovvero la Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si terrà a Glasgow fino al 12 novembre, è iniziata da soli tre giorni e già ha fatto parlare di sé per un motivo che, purtroppo, di costruttivo come l’accordo già raggiunto sul contrasto alla deforestazione ha ben poco.

Cop26 inaccessibile alla ministra di Israele: se anche l’ONU non dà il buon esempio

La ministra israeliana delle Infrastrutture (ironia della sorte) Karine Elharrar, infatti, è riuscita a entrare soltanto ieri alla Conferenza: con la sedia a rotelle con la quale si sposta non le è stato possibile accedere subito ai lavori, al pari di tutti gli altri presenti, poiché l’ingresso di ogni spazio interessato è risultato inaccessibile alle persone con disabilità. Nemmeno una delle navette che avrebbe potuto accompagnarla agli incontri era predisposta per accogliere carrozzine.

A niente sono dunque servite le due ore di tentativi: la Elharrar è dovuta tornare sconfitta in albergo, per poi commentare così su Twitter:

“Sono venuta alla COP26 per incontrare le mie controparti da tutto il mondo e promuovere una lotta comune nella crisi climatica. È triste che le Nazioni Unite, che promuovono l’accessibilità per le persone con disabilità, nel 2021 non forniscano l’accessibilità ai loro eventi”.

È chiaro a tutti come la vera sconfitta non sia certo la sua, ma quella di una società incapace non solo di rendersi conto di quali siano le necessità dei partecipanti invitati, e dunque previsti (cosa fin troppo semplice), ma più in generale di prevenire ogni eventuale difficoltà, e così di pensare e progettare un posto su misura di tutte e tutti, senza dover per forza stabilire categorie o etichette per facilitare l’inclusione delle persone in determinati contesti, e per tutto ciò che entra in contatto con loro. E quando questa superficialità appartiene alle Nazioni Unite, che dovrebbero spendersi anche per costruire un mondo più inclusivo, fa doppiamente male, perché ci pone davanti a una verità dolorosa: la totale empatia e la più completa consapevolezza, forse, sono davvero impossibili da raggiungere.

Ecco perché tutti noi dobbiamo “allenare” gli occhi e la testa, sempre di più, allargando il nostro sguardo andando oltre ciò che ci coinvolge in prima persona. Perché se anche i massimi vertici delle Istituzioni si lasciando andare a simili inciampi, non possiamo permettere che diventino cattivi maestri di una cultura già dura a progredire: ricordiamoci che ognuno di noi, nel proprio piccolo, può fare la differenza, perché in fondo basta davvero poco. Con empatia e attenzione. Solo così avremo ingegneri, architetti, geometri, ma anche insegnanti, educatori, chiunque cittadino maggiormente consapevole. Ognuno, allo stesso modo, fondamentale. Una sfida difficile ma possibile, anche se non oggi. Purtroppo.

Foto copertina: frame da video Twitter

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