Italia-Svezia: i sette pregiudizi degli svedesi sugli italiani

di Tommaso Giancarli

Pubblicato il 2016-06-17

Noi italiani, anche con buone ragioni (ad esempio la cattiva abitudine di molti di continuare ad adoperare il condiriso per le fresche insalate estive, invece di preparare e aggiungere i singoli ingredienti a parte), siamo propensi a pensarci come un popolo di provincialotti, buoni solo a stereotipare il prossimo invece di accogliere con curiosità e …

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Noi italiani, anche con buone ragioni (ad esempio la cattiva abitudine di molti di continuare ad adoperare il condiriso per le fresche insalate estive, invece di preparare e aggiungere i singoli ingredienti a parte), siamo propensi a pensarci come un popolo di provincialotti, buoni solo a stereotipare il prossimo invece di accogliere con curiosità e con un mezzo sorriso i fatti e le esperienze altrui, che possono solo arricchirci. Ma anche gli altri – no, lasciatemi dire: anche gli altri! – sono un po’ così; sarebbe d’altronde sommamente provinciale e stereotipico pensare che solo gli altri non hanno pregiudizi… Ecco ad esempio sette stereotipi degli svedesi riferiti a noi italiani.
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Gli ingorghi. In ogni città italiana, più o meno in qualsiasi ora della giornata, si formano puntualmente ingorghi sui viali che circondano i centri storici e che si incrociano sulle brutte rotatorie ricavate davanti alle vecchie porte cittadine; e, se vai a vedere, c’è sempre un ranghinatore che blocca tutto, fermo a quella rotatoria, guidato da un uomo che piange per amore. Gli italiani sono così.
La vagina delle italiane, vista dal davanti, è uguale al macchiato che fa Lars al bar della stazione di Örebro (per chi non fosse mai stato ad Örebro: è tipo un gocciato alla triestina, ma il caffè è più chiaro). Per questo gli uomini svedesi di fronte a quello spettacolo non riescono mai a reprimere un risolino; ma le italiane pensano che sia la timidezza di questi omoni gentili cresciuti nel femminismo socialdemocratico, e li trovano irresistibili.
Quando due italiani tagliano una betulla, e a forza di segare arrivano al momento in cui il tronco sta per staccarsi, si scordano sempre di gridare Hølleløj: e uno come fa a sapere che c’è una betulla che sta per cadere? Inoltre così facendo ti perdi il bello della conversazione, che rende tanto piacevole in Svezia il taglio della betulla e che rinsalda tante relazioni fra padre e figlio, amico e amico, carrozziere e truffatore seriale.
La mancanza di puntualità. Quando scrivono commenti su facebook, gli italiani non mettono mai il punto alla fine della frase. Questo, per un popolo preciso come gli svedesi sono, è inaccettabile. Metti quel punto, che ti costa? Tale costume, per uno svedese, è sintomo di sciatteria.
L’assoluta mancanza di interesse verso la vessillologia e l’araldica. Quante volte capita che una ragazza svedese, dai capelli già biondi ulteriormente schiariti dal sole e dal salmastro e dai giovani seni che pizzicano la magliettina, in vacanza sulla costiera adriatica, si rivolga a un coetaneo italiano per domandargli il suo parere sulla bandiera di Sant’Elpidio a Mare, della quale si dice che una volta contenesse un lupo, come buffo esempio di arma loquens, data l’antica dicitura di San Lupidio data al borgo fermano? O che una turista in costume, stille d’acqua salata ancora visibili sulla pelle d’oca, fermi un bagnino, quando già il sole si è tuffato nell’altro mare, per chiedergli se non sarebbe più logico che la croce anconitana fosse latina e non greca, vista la presumibile origine crociata del drappo? E sempre, sempre, in tutti questi casi, l’italiano fa una faccia annoiata, si gira, e si rimette a guardare sul cellulare le magliette del Deboscio che scherzano i poveri. La donna allora stringe le braccia sul petto, sollevandolo ancora, e si dirige in albergo a dormire sola.
Nulla da fare, agli italiani queste cose non interessano.
La pizza. La pizza italiana fa mediamente schifo e, se intinta nel cappuccino o masticata dopo essersela fatta riportare dal cane Olaf, è addirittura rivoltante.
I parcheggi. Non andate mai in Italia con l’auto: non solo c’è quel problema degli ingorghi ma – sarà la struttura antica delle città, sarà la scarsa competenza urbanistica, sarà l’eccesso di vetture private – non si trova parcheggio mai! A volte uno pensa di aver visto un buco, là in fondo, e procede speranzoso: ma poi arriva lì, dove sembrava esserci uno spazio vuoto, e trova sempre un minuscolo ranghinatore, con sopra un nano che piange per amore, e due vigili che lo confortano leggendogli “I gabbiani” di Cardarelli.

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