Intesa-Generali, un matrimonio difficile

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2017-01-26

Molte le reazioni negative sull’ipotesi, soprattutto a causa dei vincoli Antitrust che l’unione tra la prima banca e la prima compagnia assicurativa italiana dovrebbe fronteggiare nel tentativo di rilanciare il modello di bancassurance che in Europa non ha dato grandi risultati

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Martedì sera Intesa San Paolo ha reso noto che sta valutando «possibili combinazioni industriali con Generali» confermando «l’interesse industriale per la crescita nel settore del risparmio gestito, del private banking e in quello dell’assicurazione» anche con opzioni di «crescita endogena ed esogena». La notizia, anticipata nel week end da Repubblica, ha suscitato molte reazioni negative, soprattutto sui vincoli Antitrust che l’unione tra la prima banca e la prima compagnia assicurativa italiana dovrebbe fronteggiare nel tentativo di rilanciare un modello – quello del conglomerato tra banca e assicurazione – che in Europa non ha dato grandi risultati. La domanda più ricorrente che gli analisti si pongono, in attesa che Intesa chiarisca i contorni delle “possibili integrazioni industriali”, riguarda il razionale industriale di una combinazione che rievoca ‘matrimoni’ poco felici come quello tra Allianz e Dresdner Bank, comprata per 23 miliardi di euro nel 2001 e ceduta a Commerzbank nel 2008, in piena crisi finanziaria. Ma anche altri gruppi, ricorda Bloomberg, da Credit Suisse a Citigroup, da Prudential a Ing hanno abbandonato il modello del conglomerato bancassicurativo.

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Intesa San Paolo e Generali a confronto (Corriere della Sera, 26 gennaio 2017)

Le perplessità si sono riflesse in Borsa. In tre sedute Intesa ha perso quasi il 7%, mentre la preda ‘Generali’ decollava (+13,5%), trascinando il suo azionista Mediobanca (+10,5%). Con la controindicazione, tra l’altro, di rendere più dispendiosa un’eventuale operazione: la distanza tra le due società in termini di capitalizzazione è infatti scesa dai 20 miliardi di venerdì a 14,3 miliardi di oggi. Secondo Equita il matrimonio presenterebbe “un rischio di esecuzione sopra la media” in quanto “l’integrazione dei business assicurativi e bancario si è rivelata molto impegnativa e raramente in grado di creare valore in Italia e in Europa”. Tra le conseguenze negative il broker indica “una riduzione della visibilità sulla politica dei dividendi” di Intesa – che potrebbe rivedere la promessa di pagare 4 miliardi di cedole nel 2017 – mentre l’Antitrust potrebbe chiedere dismissioni sul settore vita, dove la quota di mercato del nuovo conglomerato si raggiungerebbe il 30%. Ieri il fondo Harris Investment, titolare del 2,8% di Intesa, ha definito “incoerente con i piani strategici” della banca un’incursione sulle Generali. Anche per Intermonte “il razionale industriale di un’offerta” sul 60% del capitale di Generali, in parte in azioni in parte in contanti, “rimane incerto”. Ma Intesa non sembra volersi fermare. Spiega Marco Ferrando sul Sole 24 Ore:

Secondo quanto risulta, l’idea di massima rimane quella di una maxi offerta di scambio sui titolo del Leone. Operazione da oltre 15 miliardi, una taglia non lontana dall’aumento che a giorni avvierà UniCredit, destinata a creare un polo bancassicurativo di proporzioni continentali ma assai concentrato sull’Italia. Di qui l’importanza dei dettagli industriali. La banca punta a un progetto che consenta di crescere «nel settore del risparmio gestito, del private banking e in quello dell’assicurazione in sinergia con le proprie reti bancarie», così come si è letto nella nota di martedì sera, ma c’è modo e modo di farlo.
Anche perché Messina intende anche preservare «la leadership di adeguatezza patrimoniale» e restare coerente «con la politica di creazione e distribuzione di valore per i propri azionisti» fin qui garantiti: non sarà facile trovare la quadratura del cerchio e il progetto rimane materia per analist. Ad esempio Credit Suisse non vede razionale strategico, mentre è la logica finanziaria che potrebbe dare un senso all’interesse di Intesa Sanpaolo su Generali; dubbiosa anche Fidentiis, che taglia a hold da buy il titolo, mentre Banca Akros chiama in causa Basilea 3 e si dice scettica sulla possibilità di creare valore senza il cosiddetto danish compromise (l’accordo che fissa al 3% la soglia massima di flessibilità per gli stati nazionali per l’aumento dei requisiti di capitale per le banche). Kepler Cheuvreux di contro confida sulla prudenza e disciplina che hanno sempre caratterizzato Intesa nelle fusioni e acquisizioni.

Dopo che il Leone ha comprato lunedì il 3,376% dei diritti di voto di Intesa Sanpaolo la banca può agire a livello societario solo lanciando un’offerta pubblica su almeno il 60%.

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