Intelligenza artificiale e lavoro, che futuro ci aspetta?

di Chiara Spallino

Pubblicato il 2020-11-10

Siamo abituati da cinema e letteratura ad immaginare robot umanoidi capaci di sostituirci in tutto e per tutto. In realtà l’intelligenza artificiale genererà benessere se scuola e politica sapranno prenderla per mano…

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“Intelligenza artificiale è tutto ciò che non è ancora stato fatto”. L’informatico Lawrence Gordon Tesler usava questa frase per descrivere una tendenza psicologica che sembra accomunare tutti noi. Quella di vedere l’intelligenza artificiale come qualcosa di distante, che rivoluzionerà la società in maniere straordinarie, spesso catastrofiche. A preoccupare in particolare è il rapporto tra intelligenza artificiale e lavoro. Molti credono che macchine iper tecnologiche saranno capaci di sostituirci nella maggior parte dei compiti, con conseguenze disastrose per il nostro tenore di vita. Addirittura, alcune persone non ritengono troppo fantasiosi gli scenari distopici proposti da libri, fumetti e film, che dipingono un avvenire governato da robot senza cuore.

In realtà, moltissime tecnologie fondate sull’intelligenza artificiale sono già parte della nostra vita quotidiana: fanno funzionare il nostro navigatore, la nostra app preferita per tenere traccia degli allenamenti e i nostri social network. Ci aiutano a scattare foto più belle, a prenotare un aereo e scelgono le inserzioni che vediamo quando facciamo scorrere la home di Facebook. Incrociano quantità esorbitanti di dati negli ospedali, nell’amministrazione pubblica e nelle inchieste giudiziarie. Generano profitti, senz’altro modificano le nostre abitudini e possono farsi tramite per interessi molto potenti, ma sono innanzitutto strumenti nelle nostre mani. Ora che abbiamo scacciato l’idea di un mondo popolato da androidi indistruttibili, proviamo allora a fare più chiarezza sul ruolo che l’intelligenza artificiale avrà nel mondo produttivo.

Cosa pensano gli esperti?

Da anni è viva la paura che l’intelligenza artificiale possa avere un impatto negativo sull’occupazione, anche se le ricerche economiche e sociologiche in questo campo sembrano dimostrare il contrario, promettendo un aumento complessivo dei posti di lavoro a fronte di una perdita iniziale in alcuni settori, una buona crescita economica e, soprattutto, grandissime opportunità. In particolare, nel 2019 gli esperti del World Economic Forum hanno prospettato tre direzioni virtuose o linee guida, descritte come verosimili sviluppi sul lungo periodo del nostro rapporto con l’intelligenza artificiale.

La prima è quella dell’automazione come canale di ottimizzazione, proposta dal manager Parag Khanna. Dal suo punto di vista, l’automazione migliorerà anziché annullare le opportunità di lavoro, rendendo la nostra vita più semplice, avvantaggiando le aziende, i loro clienti e la loro forza lavoro. Thomas Kochan, co-direttore del MIT Sloan Institute for Work and Employment Research, ha tratteggiato la seconda direzione: quella della cooperazione con le macchine. Kochan pensa che l’intelligenza artificiale potrà creare un rapporto più empatico tra lavoratori e imprenditori, perché i dipendenti potranno essere coinvolti nel miglioramento degli strumenti digitali. Invita le aziende a collaborare con sindacati e governi per evitare qualsiasi forma di alienazione. Richard Heeks, direttore del Center for Development Informatics e ricercatore senior presso il Sustainable Consumption Institute, Università di Manchester, ha parlato infine di una trasformazione digitale che modifica la forza lavoro. Heeks sottolinea come un maggiore impiego di tecnologie intelligenti e mezzi digitali porterà a un’evoluzione nelle competenze dei lavoratori e uno spostamento verso il settore digitale. Fondamentale, secondo Heeks, è che di pari passo vengano fissati standard e creati sindacati che rendano il lavoro nell’area digitale regolamentato.

Chi guiderà la transizione verso un nuovo lavoro?

È evidente da queste riflessioni come lo sviluppo dell’intelligenza artificiale racchiuda grandissime potenzialità, che potranno però essere espresse solo se politica ed istruzione sapranno stare al passo con gli avanzamenti tecnologici. Questo perché la crescita del digitale e dell’intelligenza artificiale modificherà il mondo del lavoro in maniera progressiva, cancellando alcuni posti di lavoro mentre ne crea ancora di più, con un aumento complessivo che, sempre stando alle stime del World Economic Forum, dovrebbe attestarsi su un netto di 58 milioni di posti di lavoro in più nel 2030. Un mutamento che avrà bisogno di essere studiato e guidato, in modo da sfruttare al massimo le potenzialità e limitare le ricadute negative nel periodo di transizione. E’ l’idea del professore Luciano Floridi, filosofo e ricercatore dell’Università di Oxford, tra i maggiori esperti sul tema: “La trasformazione che l’intelligenza artificiale sta portando al mondo della produzione, del lavoro e dell’industria è enorme ed è molto profonda. Le generazioni più anziane potrebbero pagare in parte questa trasformazione, e qui le reti sociali e la politica sono fondamentali. L’oggi paga per i vantaggi del domani, e quindi oggi dovremmo avere un sostegno per chi pagherà i costi dei vantaggi di domani”.

Insomma, sembra proprio che il caso dell’intelligenza artificiale non sia troppo diverso dai grandi avanzamenti tecnologici del passato. L’evoluzione digitale, cioè, non è di per sé né buona né cattiva. Starà a noi e alle politiche che sceglieremo di sostenere decidere in quale direzione andare, contribuendo a modificare il volto della società del futuro. Dopotutto, come ha dichiarato lo stesso Floridi, “l’intelligenza artificiale si può spiegare con un’analogia: è come l’elettricità, un mezzo per risolvere problemi”.

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