Incidente nucleare di Nenoksa, cosa sappiamo e di cosa dobbiamo avere paura

di Armando Michel Patacchiola

Pubblicato il 2019-08-20

Le scarne informazioni rilasciate sia dalla Rosatom, e le contraddizioni emerse dai comunicati diffusi dal ministero della Difesa, che inizialmente ha dichiarato il mancato «rilascio di materiali tossici nell’atmosfera, e che il livello di radiazione era normale» ha generato non poca confusione, dando spazio a speculazioni, sospetti e crisi di panico

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Verso le 12 di giovedì 8 agosto nella Baia della Dvina, quella antistante la base militare di Nyonoksa, nella regione settentrionale di Arkhangelsk, sulle coste del Mar Bianco, in Russia, c’è stata un’esplosione su cui si fa un gran parlare. Le dinamiche dell’incidente, il quinto militare da maggio, non sono chiare, sia per quanto concerne cosa abbia causato l’esplosione, sia per quanto riguarda la portata distruttiva ed eventuali responsabilità. Secondo fonti autorevoli quanto accaduto ricadrebbe sotto la sfera di competenza del ministro della Difesa Sergej Shoigu. La base di Nyonoksa (o Nenoksa) è una base fondamentale per la Russia. Lì si effettuano i test di praticamente tutti i sistemi missilistici utilizzati dall’esercito navale russo, inclusi quelli balistici intercontinentali lanciati in mare, i missili da crociera e i missili antiaerei. Inizialmente il ministero della Difesa ha affermato che l’esplosione dell’8 agosto ha coinvolto un motore a razzo a combustibile liquido. Una spiegazione ritenuta troppo vaga dagli esperti. Successivamente la Rosatom, la società pubblica che si occupa del nucleare russo, ha affermato che il test ha coinvolto un sistema «a propulsione a radio isotopi». In pratica la Rosatom ha specificato che il carburante utilizzato per muovere il dispositivo esploso era di natura atomica, e che l’incidente sia avvenuto su una piattaforma offshore, che il carburante abbia preso fuoco dopo il collaudo, e che poi sia esploso, catapultando in mare cinque suoi lavoratori e ferendone (in totale, ndr) almeno altri quindici. Non è chiaro se ci siano altre due vittime e se alla conta finale facciano parte anche le perdite annunciate dal ministero della Difesa. Gli uomini sono stati sepolti lunedì 11 agosto a Sarov, nell’Oblast’ di Nižnij Novgorod, una delle città che dalla fine degli anni ‘40 ospita uno dei principali centri di ricerca nucleari (VNIIEF). La Russia ha chiuso l’accesso ad alcune zone della baia, ufficialmente per permettere il recupero dei reperti. Nella baia è presente la nave Serebryanka, già nell’area prima dell’esplosione e che per anni è stata utilizzata per il trasporto di rifiuti nucleari. La Serebryanka è la stessa nave che nel 2017 è stata utilizzata per il recupero nel mare di Barents dei resti del KY30, un prototipo del Burevestnik. Dopo l’incidente è stata anche chiesta una breve evacuazione (poi ufficialmente cancellata dai militari) di un paese vicino alla zona militare. Nonostante ci sia qualche informazione discordante, il governatore della regione di Arkhangelsk Igor Orlov ha assicurato che «non ci sia stata evacuazione». Dalla Francia, lunedì’ 19 il presidente russo Vladimir Putin ha negato che ci sia un problema legato a un incremento delle radiazioni, che lì non c’è «nessuna minaccia» o «serio cambiamento» e che non ci «sono sorprese».

Esiste un problema di contaminazione radioattiva?

Severodvinsk non è nuova a lievi emissioni nucleari, dato che è base di numerosi sottomarini alimentati con questo tipo di energia, ed è luogo di test militari sin dall’era Sovietica. L’amministrazione di Severodvinsk, cittadina da 183 mila abitanti, ha emesso un comunicato, poi cancellato, dove ha rivelato livelli di radiazione pari a 2 microsievert all’ora (circa 20 volte superiore alla lettura media dell’area) – per un lasso di tempo di almeno 30 minuti tra le 11:50 e le 12:30 durante la giornata dell’8 agosto, e che poi i valori, rilevati dagli altri dai sensori (in via Karl Marx e via 7 Plyusnina) sono tornati ai livelli più naturali.

 

Il comunicato dell’amministrazione di Severodvinsk

 

La BBC e il New York Times hanno rilanciato la notizia che in città ci siano state molte richieste di pillole di iodio, un rimedio per gli effetti di contaminazione nucleare. Nei giorni successivi all’incidente il New York Times ha scritto, forse simbolicamente, che quello di Nenoksa sia «forse uno dei peggiori incidenti nucleari avvenuti in Russia dopo Chernobyl». Dati alla mano, col passare delle ore, però, questa suggestione si è via via affievolita. In città, infatti, la vita scorre tranquilla. A ben vedere questa mole di radiazioni, addirittura riviste al ribasso (1.78 microsievert) dalle successive rilevazioni del centro di monitoraggio ambientale russo Rosgidromet, equivalgono nel suo picco massimo a quelle di un normale esame radiografico. Per fare un raffronto con un tragico evento più recente, nel disastro nucleare alla centrale di Fukushima dell’11 settembre 2011, in Giappone, sono state rilevate esposizioni per 530 Sievert all’ora, con una permanenza radioattiva stimata in molti decenni. Nonostante ciò, nelle ore successive all’incidente, GreenPeace ha lanciato numerosi allarmi, richiedendo nuovi controlli anche sull’inquinamento dei beni alimentari e degli oggetti comuni della vita quotidiana. In molti sostengono che le autorità russe abbiano fatto un po’ melina e che siano restie dal render noti tutti i dettagli. Il Wall Street Journal ha diffuso la notizia che due giorni dopo l’esplosione di Nenoksa due stazioni di monitoraggio, nella lontane città di Kirov e Dubna, sono rimaste «silenti» per cause non note, mentre la Cnn ha ricevuto conferme che le stazioni di Bilibino e Zalesovo, anch’esse molto lontane dal luogo dell’esplosione, sono rimaste spente il 13 agosto. In molti sostengono che le autorità russe dovrebbero far capire con precisione quali tipi di sostanze siano esplose, e quindi che tipo di radionuclidi si siano liberati. Il simbolismo di Chernobyl si insinua proprio in questo punto: sul parallelismo sulla censura e dei colpevoli ritardi nel fornire un’esatta informazione ed evacuazione dei cittadini sovietici. In base ai dati diffusi non sarebbero evidenti pericoli, pertanto si esclude che si sia trattato di materiale altamente radioattivo come Plutonio e Polonio, due dei materiali più pericolosi in natura, e che con ogni probabilità, non ci sia un vero pericolo contaminazione nella terraferma. «Se fosse stato un incidente davvero grave avremmo notato maggiori radiazioni [anche] più lontano», ha commentato Pavel Podvig, ricercatore all’Istituto per il disarmo dell’Onu a Ginevra sul Sole 24 Ore. Un discorso diverso, infine, va fatto sui feriti dell’incidente, che vista la vicinanza con l’esplosione, sono stati i più contaminati. Sul loro stato di salute c’è un forte riserbo. E’ stata inoltre diffusa la notizia che, a titolo precauzionale, alcuni membri dello staff medico e paramedico di quelli che hanno curato i feriti siano stati invitati a Mosca per controlli di salute e che secondo indiscrezioni almeno uno di loro sarebbe stato contaminato dall’isotopo radioattivo Cesio-137, un sottoprodotto della fissione nucleare dell’uranio 235, ma che trova utilizzi anche in altri ambiti, tra cui quello medico-radiologico. In generale il Cesio 137 è ritenuto tossico in modo blando, in grado comunque di causare malattie.

Allarme nucleare, tanta confusione in un momento delicato

Le scarne informazioni rilasciate sia dalla Rosatom, e le contraddizioni emerse dai comunicati diffusi dal ministero della Difesa, che inizialmente ha dichiarato il mancato «rilascio di materiali tossici nell’atmosfera, e che il livello di radiazione era normale» ha generato non poca confusione, dando spazio a speculazioni, sospetti e crisi di panico. L’impressione è che dietro a tanto mistero si celi la voglia del Cremlino di tenere segrete le sue strategie militari. Una tendenza sicuramente non attenuata dalla mutata situazione politica e militare che potrebbe richiedere particolari sforzi nelle trattative future. Dal due agosto, infatti, non è più in vigore il trattato sulle forze nucleari a medio raggio (INF – Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty). Un accordo, l’INF, siglato nel 1987 tra l’Urss e gli Stati Uniti e che oltre a rappresentare il simbolo della fine della Guerra Fredda, per anni ha rappresentato un baluardo per la sicurezza dell’Europa, pur non tutelandola dai lanci militari dagli aeroplani (ALBM) e da quelli dai sottomarini (SLBM). L’INF ha però garantito il ritiro dei missili ‘SS’ sovietici stanziati in Europa orientale, e poi quelli dei Pershing II e dei Cruise dell’esercito statunitense schierati a protezione degli alleati europei in Gran Bretagna, Belgio, Paesi Bassi, Germania e Italia. Nonostante il suo abbandono sia stato visto come un alto fattore di rischio, molti esperti hanno sottolineato come l’INF sia uno strumento obsoleto e parziale, non più capace di garantire la sicurezza degli europei. Tra le motivazioni c’è il fatto che al tempo della stipula le maggiori potenze nucleari erano due, mentre oggi sono nove. Tra queste c’è la Cina, diventata nel frattempo una grande potenza economica, e che attualmente conta “appena” 290 testate nucleari. Molte meno rispetto alle migliaia in possesso di Stati Uniti e Russia, rispettivamente prima e seconda potenza nucleare del pianeta. Molte delle testate cinesi, però, sono composte da unità il cui sviluppo è stato proibito per decenni sia agli Stati Uniti che alla Russia.

Il Dipartimento della Difesa statunitense non ha manifestato formalmente l’intenzione di sviluppare nuovi programmi missilistici da dispiegare in Europa, ma da tempo discute sulla possibilità di un riarmo di tipo convenzionale, senza testate nucleari. Anche Jens Stoltenberg, il segretario Generale della Nato, su POLITICO ha escluso la possibilità che vengano dispiegate armi nucleari in Europa. Stoltenberg ha comunque dichiarato che i sottoscrittori del Patto Atlantico, quello che ha dato vita al trattato di cooperazione in tema di difesa tra la maggior parte dei paesi d’Europa, l’America del Nord e altre forze armate, «risponderanno con una deterrenza credibile». Domenica 18 agosto in un’intervista al canale Rossiya 24, il canale all-news della tv di stato, il ministro Shoigu ha chiarito l’intenzione di non dispiegare missili in Europa e di attenersi ancora a quanto stabilito dal trattato INF, e che «non farà nulla» fin quando Washington farà altrettanto. Il nuovo fronte delle trattative sul vero trattato in grado di garantire la sicurezza in Europa e non solo, dicono gli esperti, è il Trattato New Start (Strategic Arms Reduction Treaty) in scadenza tra meno di due anni, nel febbraio 2021. Il New Start è un trattato stipulato tra Stati Uniti e Russia e la sua firma ha permesso di ridurre a 1550 le testate atomiche strategiche, obbligando inoltre i due contraenti a mantenerne pronte all’uso solo la metà. Al contrario di Putin negli ultimi tempi il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è dimostrato poco incline a voler rinnovare l’accordo, sollevando molte critiche. Per evitare seriamente una corsa al riarmo, però, trattative analoghe dovrebbero riguardare anche la e la Cina di Xi Jingping e la Corea del Nord di Kim Jong-Un, dove Trump sta dimostrando molto impegno.
Cosa sta facendo la Russia?

Se da un lato c’è la necessità di sapere con esattezza cosa il ministero della Difesa russo stesse testando a Nenoksa, soprattutto per prevenire e combattere possibili danni alla salute, dall’altro c’è quello di capire in che direzione stia andando il suo sistema militare. Recentemente Dmitry Peskov, il portavoce di Putin, ha qualificato «il livello dei progetti russi in campo missilistico [come] unico al mondo e molto più alto [rispetto] a quello raggiunto da altri Paesi». Da tempo i militari russi stanno testando l’applicazione di armi nucleari alimentate da un piccolo reattore, non nuove in quanto già ideate e testate con successo dagli Stati Uniti durante gli anni ‘50 e ’60 con il progetto Plutone (o SLAM), poi però abbandonato perché troppo instabile e pericoloso (era 26 volte più potente dell’ordigno di Hiroshima e Nagasaki). Jon Hawkes, dell’IHS Markit di Jane, una società che si occupa di analizzare i rischi per i propri clienti, ha affermato che il sistema che il ministero della Difesa russo e la Rosatom stavano testando lo scorso 8 ottobre potrebbe funzionare in due modi. Potrebbe essere un «aeroreattore che impiega un piccolo reattore nucleare per riscaldare l’aria in arrivo, che viene poi espulsa per generarne la spinta», come presumibilmente è il Burevestnik, che proprio sulla fase di illuminazione del reattore avrebbe però oggi il suo punto debole. Oppure potrebbe essere un «motore nucleare a razzo termico, in cui il nucleo del reattore viene utilizzato per riscaldare un combustibile liquido come l’idrogeno prima di espellerlo attraverso un ugello per produrre la spinta». Su Forbes è stata avanzata l’ipotesi che durante l’incidente si stesse testando un siluro di un sottomarino molto potente. In entrambi i casi l’esplosione non rappresenterebbe un pericolo per l’ambiente. Lo è, infatti, quando a disperdersi è un grosso quantitativo di materiale radioattivo, generalmente inserito per natura bellica. Nei casi dei test, spesso,all’interno dell’arma viene introdotto materiale scarsamente tossico, solo al fine di simularne il peso corretto e bilanciato. Non è chiaro però, come suggeriscono il resto dei media americani e come escludono le autorità russe, se a Nenoksa, la cittadina che si trova a 400 chilometri da Mosca, si stesse veramente testando il Burevestnik, noto alla Nato come SSC-X-9-Skyfall, un missile lungo cinque o sei metri, velocissimo e a gittata illimitata. Il Burevestnik, che potenzialmente è una minaccia per ogni angolo del pianeta, Stati Uniti compresi, è in grado di volare con traiettorie molto meno prevedibili dei sistemi balistici tradizionali e intercontinentali. Nonostante i proclami, comunque il Burevestnik è ancora in fase sperimentale ed è abbastanza lontano dalla messa in produzione. Nonostante ciò Putin lo ha presentato con orgoglio al Parlamento russo il primo marzo 2018, assieme ad altre cinque armi, tra cui il velocissimo sistema di rientro ipersonico Avangard e il drone sottomarino Poseidon, assieme ad altre armi atomiche a lunghissima gittata e dispositivi laser, tutte ritenute strategiche per la difesa e l’economia del Paese. Il nuovo arsenale russo, secondo gli esperti, potrebbe essere un serio rischio per gli Stati Uniti e i vari competitor mondiali di Mosca. Nel caso si accendesse un nuovo conflitto, o venisse lanciato erroneamente un dispositivo atomico gli effetti sarebbero simili a quelli di un’apocalisse.

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