Fact checking
L’altro sgambetto di Westminster a Boris Johnson. Ora il premier è più debole che May
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2019-09-07
Nonostante i suoi proclami oggi Johnson appare più debole del suo predecessore (May), che almeno uno straccio di accordo con l’Ue, «the only deal» lo ha portato a casa
Il premier Boris Johnson non si presenterà nel pieno delle sue forze al summit con i suoi omologhi europei previsto il prossimo 17 Ottobre. Nonostante oggi l’alta Corte di Giustizia inglese (EWHC), uno dei tribunali di primo appello si sia pronunciato a favore della prorogation, giudicando legale lo stop forzato di 25 giorni a partire dalla prossima settimana voluto dal leader della destra britannica, e che secondo il leader dei Tory avrebbe dovuto tacere le interferenze del Parlamento dandogli più forza negoziale dinanzi all’Ue, Johnson appare sempre più debole.
L’altro sgambetto di Westminster a Boris Johnson. Ora il premier è più debole che May
La sua scelta, quella di bloccare fino al Queen Speech, il saluto della Regina al Parlamento, ha generato al contrario un vespaio di polemiche e divisioni anche all’interno del partito. Ad annullare questa schiarita nella tempesta politica che sta affliggendo il presente (e l’imminente futuro) del premier inglese ci hanno pensato, sempre ieri, le minoranze. Durante un incontro, stamane, sia i Labour, i LibDem, lo Scottish National Party, che la sinistra gallese Plaid Cymru, hanno confermato quanto votato mercoledì, nei primi giorni di riapertura del Parlamento dopo la pausa estiva, ossia di non voler andare a nuove elezioni prima di essere sicuri che ci sia un’altra “prorogation”: quella dell’Hard Brexit, l’uscita disordinata e senza accordo che entro la fine di questo mese il Regno Unito otterrà se il premier non la richiederà alla Commissione Europea il 17 ottobre. Johnson ha detto nei giorni scorsi che preferirebbe «morire in un fossato» piuttosto che farlo, vista la sua matrice anti europeista e visto che negli ultimi mesi si è distinto per le sue posizioni per un’uscita senza accordo. Ma con ogni probabilità dovrà farlo, vista la positiva votazione del no-deal bill, la legge che la House of Commons ha votato mercoledì e che oggi ha ricevuto il sì definitivo anche della House of Lords, e che a breve verrà firmata dalla Regina. Questa legge di fatto gli impone di chiedere a Bruxelles che venga prorogato al 31 gennaio il termine massimo per raggiungere un accordo differente dall’hard Brexit. Uno scenario da incubo per l’ex sindaco di Londra, che ha promesso un’uscita con o senza accordo, «do or die», entro il prossimo 31 ottobre, sette mesi dopo l’iniziale scadenza prevista dai trattati. Come se non bastasse Johnson l’altroieri ha perso anche il sostegno di suo fratello Jo, che ha chiesto di attivare la procedura per dimettersi dal Parlamento per via della divergenza di vedute antieuropee con suo fratello maggiore (è conservatore anche lui ed faceva parte del Governo).
Johnson non è in un momento ottimale visto che dopo l’esclusione dalle sue fila di ben 21 parlamentari, esclusi perché colpiti da un procedimento disciplinare (party whip) per aver votato contro il suo leader e aver contribuito alla perdita del calendario parlamentare in un momento molto delicato. Tra di loro anche esponenti storici del Partito Conservatore, poco entusiasti delle posizioni poco tradizionali che sta assumendo il partito sotto la sua guida, forse esasperata dalla pressione dei partiti pro Brexit (Brexit Party e Ukip). Numeri alla mano, oggi, nonostante il sostegno del Dup e l’astensione del Sinn Féin, due partiti nord irlandesi, il Governo non avrebbe la maggioranza (sulla carta avrebbe meno di 300 voti) e a seguito della scenica fuoriuscita di Philip Lee verso i LibDem, seppure venissero reintegrati i “conservatori ribelli”, Johnson non avrebbe i voti alla Camera dei Comuni (al contrario dell’Italia la camera alta, quella dei Lord, non vota la fiducia) rimanendo di poco sotto la soglia dei 326 scranni necessari. Come riferisce il Guardian, uno dei più autorevoli quotidiani al mondo, i Labour non hanno ancora escluso un voto di fiducia, ma qualora venisse richiesto, cosa difficile fin quando non sarà assicurata la richiesta la posticipazione a Bruxelles, Johnson potrebbe cadere, e avrebbe solo 14 giorni per assemblare una nuova difficile maggioranza prima che vengano indette nuove elezioni. Uno scenario tutt’altro che insperato dal leader conservatore, che spera in futuro nell’appoggio di altri partiti pro hard Brexit. Johnson avrebbe comunque la possibilità di chiamare le urne, chiedendo all’aula, come scritto dall’Express, un «pazzo» voto di fiducia sul suo governo. Ma non sarebbe la scelta consona e priva di rischi e non è detto che sarebbe concessa prima del 17 ottobre. Johnson potrebbe racimolare voti e cambiare la legge che prevede un quorum con una maggioranza più bassa dell’attuale (434) e in autonomia per richiedere elezioni anticipate, ma avrebbe comunque gli stessi problemi. Ecco perché nonostante i suoi proclami oggi Johnson appare più debole del suo predecessore (May), che almeno uno straccio di accordo con l’Ue, «the only deal» lo ha portato a casa. Fatto che, molto sottovalutato nel Regno Unito, è difficile che riaccada.
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