Economia
Il pane nero a base di carbone vegetale
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2015-11-12
Un ingrediente proibito negli Usa ma legale nell’Unione Europea, e da qualche tempo molti fornai lo offrono anche se viene utilizzato anche dai ristoranti per l’hamburger e la pizza
Il pane nero va di moda: è a base di carbone vegetale, un ingrediente proibito negli Usa ma legale nell’Unione Europea, e da qualche tempo molti fornai lo offrono anche se viene utilizzato anche dai ristoranti per l’hamburger e la pizza. Repubblica di oggi, in un pezzo a firma di Michele Bocci, ci spiega cos’è il carbone vegetale con cui viene fatto e perché le associazioni di categoria hanno dubbi sul preparato:
Si tratta di una sostanza classificata come additivo, un colorante, e questa sua natura di recente sta sollevando dubbi nei produttori. Pochi giorni fa Claudio Conti, il presidente di Assipan, l’associazione dei panificatori di Confcommercio, ha mandato una lettera a tutte le sedi provinciali per ricordare proprio la natura di colorante (E153) di quella sostanza e il fatto che «la normativa prevede espressamente che per il pane e i prodotti simili l’uso di coloranti è vietato». Anche Assopanificatori di Confesercenti si è mossa, chiedendo un parere ai ministeri della Sanità e dello Sviluppo Economico. I problemi principali sono due, uno ha a che fare appunto con le norme sugli additivi, l’altro con le dosi, visto che i coloranti non possono superare una certa quantità del prodotto finale. Le risposte dovrebbero arrivare in un mese.
I problemi con le normative sulla produzione non sono collegati alla sicurezza di chi consuma il carbone vegetale, usato dai tossicologi negli avvelena menti e venduto in farmacia come integratore per problemi intestinali. La sostanza è quel che resta del legno, di solito di pioppo, bruciato a temperature elevate e in atmosfera priva di ossigeno. «Se fa male? Non ci sono studi che lo abbiano provato — commenta Andrea Ghiselli, del Cra-Nut, l’ente che si occupa della ricerca sulla nutrizione — Non è chiaro quanto ne finisca all’interno dei prodotti alimentari. Forse non tanto, visto che basta una piccola quantità per colorare molto e cioè per ottenere l’effetto che spinge i consumatori a comprarlo».