Il Jobs Act e il mistero dei contratti a tempo indeterminato

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2015-12-29

Durante il terzo trimestre sono stati registrati 7308 contratti a tempo indeterminato in meno, ma per fortuna abbiamo il Jobs Act. O no? Vediamo i numeri

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Fine dicembre, tempo di bilanci anche nel mercato del lavoro. Per i lavoratori italiani la sorpresa è arrivata ben prima di Natale, l’ha portata a marzo il governo Renzi e si chiama Jobs Act. La riforma grazie alla quale si sarebbe dovuto dare vigore all’economia, rilanciare la ripresa e aumentare il numero di posti di lavoro. Questo almeno è quello che ci hanno raccontato dalle parti del governo nei mesi precedenti all’approvazione del Jobs Act. Perché dopo l’entrata in vigore della riforma sui contratti di lavoro i toni si sono decisamente smorzati ed è scomparsa buona parte dell’entusiasmo iniziale. Qualche giorno fa il Ministero del Lavoro ha pubblicato la Nota Trimestrale con i dati sulle assunzioni e sui licenziamenti relativi al terzo trimestre 2015, e, sorpresa delle sorprese a quanto pare il Jobs Act non funziona come dovrebbe.

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Durante il terzo trimestre 2015 la variazione tendenziale dei rapporti di lavoro attivati registra un calo che ci riporta a quando il Jobs Act non c’era

I contratti a tempo indeterminato

Le cifre parlano chiaro, nel corso del terzo trimestre sono state registrate 2.500.584 assunzioni, una cifra che rimane sostanzialmente invariata rispetto allo stesso periodo del 2014 (il che vuol dire che le cose non sono cambiate). Il Ministero sottolinea trionfalmente che i contratti a tempo indeterminato (l’obiettivo dichiarato del Jobs Act) sono aumentati del 21% mentre sono diminuite “in modo sostenuto” le collaborazioni e l’apprendistato (-45,2% e -24,6% rispettivamente). Insomma a quanto pare il Jobs Act, nella narrativa del governo, funziona davvero. Lo ha detto anche Matteo Renzi questa mattina durante la conferenza stampa di fine anno. Ma non sono tutti contratti a tempo indeterminato quelli che luccicano, perché se andiamo a leggere le tabelle la verità è un’altra. Ad esempio che nel terzo trimestre – quello estivo – “grazie” al Jobs Act ci sono stati 7.308 contratti di lavoro a tempo indeterminato in meno. Questa è la tabella riguardante le attivazioni (ovvero le assunzioni) ripartite per tipologia di contratto.
jobs act terzo trimestre 2015 tempo indeterminato
Questa invece quella riguardante le cessazioni (ovvero la fine dei rapporti di lavoro):
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Come si vede nel corso del terzo trimestre il Ministero dichiara che le cessazioni di contratti a tempo indeterminato sono state maggiori rispetto alle assunzioni, peraltro con un aumento del 2,7% rispetto allo stesso periodo del 2014. Se guardate nel complesso la tabella delle cessazioni quelle riguardanti i contratti a tempo indeterminato sono le uniche che hanno il segno più rispetto al 2014, tutte le altre invece hanno davanti il segno meno. Ma come, il Jobs Act non aveva lo scopo di incentivare le aziende e i datori di lavoro a stipulare proprio questa tipologia di contratto? Sì. Eppure dai dati emerge che la riforma fortemente voluta da Renzi non è riuscita a aumentare il numero di posti di lavoro. Ma c’era anche un’altra promessa del Jobs Act: dare lavoro ai giovani. È stato davvero così? Tenendo conto che nei tre mesi estivi (ovvero quelle in oggetto) ci dovrebbe essere un boom nelle assunzioni dei giovani (anche solo per un lavoro stagionale) ci si dovrebbe poter aspettare una risposta affermativa. Ma guardando la tabella si evince che ad essere assunti sono stati gli over 45, e che anzi è stato registrato un calo nelle assunzioni dei giovani nella fascia fino ai 34 anni rispetto al terzo trimestre del 2014.
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Il vero punto della questione

Andando indietro di tre mesi alla precedente Nota Trimestrale è possibile capire in che direzione ci si stia muovendo. Tenete presente che il secondo trimestre del 2015 è stato il banco di prova della riforma, che è entrata in vigore a marzo. Durante il secondo trimestre il numero di assunzioni a tempo indeterminato era stato superiore (seppure di poche migliaia di unità) alle cessazioni per la stessa tipologia di contratto.
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L’aumento su base annua delle cessazioni però si era fatto sentire: 52.212 (quasi la metà di quelli attivati) contratti in meno rispetto al 2014 pari all’11%. Se andiamo a guardare il totale dei contratti attivati nel secondo trimestre si nota come il mercato del lavoro, nonostante la “spinta” del Jobs Act, stia già frenando: 2.775.139 nuove assunzioni nel periodo tra marzo e giugno contro i due milioni e mezzo del trimestre successivo.  Di nuovo, ma il Jobs Act non doveva  far aumentare i contratti a tempo indeterminato? Sì, ma nella realtà delle cose la modesta ripresa dell’occupazione era spiegabile con il ciclo economico, il deprezzamento dell’euro e il crollo del prezzo del greggio. La debole ripresa registrata nel 2015 non ha consentito quindi ai datori di lavoro di assumere di più.
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Di questo il Jobs Act non poteva essere responsabile e non lo è nemmeno ora. Perché al di là degli incentivi non è stato in grado di influenzare l’andamento del ciclo economico. Non era merito del Jobs Act prima e non è colpa del Jobs Act ora. Quello che si evince dai dati è che il Jobs Act non sta – di fatto – aumentando il numero degli occupati. Di chi sarà la colpa questa volta? In conferenza stampa Renzi ha detto che le politiche economiche europee orientate all’austerity costituiscono un freno alla ripresa. Ma quindi il Jobs Act non aveva la possibilità di cambiare nulla fin dal principio?

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