Politica

Il governo ha presentato l’emendamento per reintrodurre il tetto agli stipendi dei dirigenti pubblici

neXtQuotidiano 14/09/2022

Dopo le accuse di Palazzo Chigi al Parlamento, Mario Draghi ha deciso di passare dalle parole ai fatti per rimuovere quel passaggio nel dl Aiuti approvato al Senato

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Ogni governo (o maggioranza parlamentare a suo sostegno) ha la sua manina. Quella diventata protagonista negli ultimi giorni – prima del voto del 25 settembre – dell’esecutivo guidato da Mario Draghi ha inserito un articolo all’interno dell’ultimo dl Aiuti-bis per abolire il tetto agli stipendi dei dirigenti pubblici. Prima dell’approvazione di quella norma in Senato, infatti, le cariche di vertice delle Forze armate, delle Forze di polizia e delle pubbliche amministrazioni potevano ottenere un compenso annuo massimo annuo di 240mila euro. Poi il colpo di coda con quel correttivo inserito in extremis all’interno del decreto legge che ha come fine quello di aiutare (economicamente) cittadini e imprese alle prese con i costi aumentati dell’energia. E da lì è nato un balletto di accuse. E ora il governo ha deciso di prendere in mano la situazione presentando un emendamento per sopprimere quell’articolo 41-bis della legge appena approvata.

Tetto stipendi dirigenti pubblici, l’emendamento del governo per reintrodurlo

A comunicare la decisione del governo – come estrema ratio risolutiva dopo il caos sul tetto stipendi dirigenti pubblici – sono state fonti interne a Palazzo Chigi. L’obiettivo, ora, è di passare immediatamente al voto in Parlamento affinché deputati e senatori (dopo aver approvato quel ritorno al passato votando il dl Aiuti-bis) si assumano la responsabilità su quanto accaduto nelle scorse ore. L’articolo contestato, il 41-bis, recita così:

“Art. 41-bis. – (Trattamento economico delle cariche di vertice delle Forze armate, delle Forze di polizia e delle pubbliche amministrazioni) – 1. Al Capo della polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza, al Comandante generale dell’Arma dei carabinieri, al Comandante generale della Guardia di finanza, al Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, al Capo di stato maggiore della Difesa, – 23 – ai Capi di stato maggiore di Forza armata, al Comandante del comando operativo di vertice interforze, al Comandante generale del Corpo delle capitanerie di porto, ai Capi dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri, ai Capi dipartimento dei Ministeri, al Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri e ai Segretari generali dei Ministeri è attribuito, anche in deroga al limite di cui agli articoli 23-ter, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e 13, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, un trattamento economico accessorio per ciascuno di importo determinato, nel limite massimo delle disponibilità del Fondo di cui al comma 2, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze. 2. All’onere derivante dal comma 1 si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo di cui all’articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190”.

Ora, con l’emendamento del governo si tenta di tornare alle origini e ristabilire a 240mila euro annui il tetto stipendi dirigenti pubblici.

(foto IPP/zumapress)

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