I terremoti e la placca adriatica che preme sugli Appennini

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-12-10

Carlo Doglioni, presidente INGV: «La zona risente dell’estensione della crosta terrestre la quale, per l’Italia centrale, è misurata in circa 4 millimetri all’anno. Questo provoca un accumulo di energia che periodicamente viene rilasciata. Tenendo conto che ogni cento anni si registra quindi un movimento di 40 centimetri, ogni due-tre secoli l’area è in grado di esprimere un terremoto capace di spostare il volume della crosta terrestre di circa un metro, un metro e mezzo»

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Alle 4.37 di ieri i sismografi hanno registrato un’onda tellurica di magnitudo 4.5 gradi della scala Richter, non catastrofica, ma capace di provocare danni e terrore. L’epicentro è stato registrato tra Scarperia e San Piero a Sieve (non lontano dal circuito dove si svolge il campionato mondiale di moto Gp) ma il comune più colpito è stato Barberino, 10mila abitanti, dove 250 persone (dato ancora parziale) sono state sfollate dalle abitazioni del centro storico lesionate dal sisma.

I terremoti e la placca adriatica che preme sugli Appennini

Il Corriere della Sera oggi sente Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV): «La zona risente dell’estensione della crosta terrestre la quale, per l’Italia centrale, è misurata in circa 4 millimetri all’anno. Questo provoca un accumulo di energia che periodicamente viene rilasciata. Tenendo conto che ogni cento anni si registra quindi un movimento di 40 centimetri, ogni due-tre secoli l’area è in grado di esprimere un terremoto capace di spostare il volume della crosta terrestre di circa un metro, un metro e mezzo, scatenando un sisma la cui magnitudo sarà di circa sei gradi. Nel caso specifico l’origine del terremoto è derivata dall’estensione dell’Appennino settentrionale con un movimento nella direzione della Pianura Padana, in particolare nella direzione nord-est/sud-ovest».

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Le faglie e la placca adriatica che preme sugli Appennini (Corriere della Sera, 10 dicembre 2019)

Anche in occasione del terremoto in Albania in Italia, lungo la costa adriatica meridionale, è arrivata però l’eco del sisma albanese. La prima scossa delle 3:54 è stata seguita da altre tre di magnitudo superiore a 5, che hanno fatto tremare la terra in modo leggero anche in Puglia. Per un attimo si è temuto l’arrivo di un piccolo maremoto. Proprio all’Ingv di Roma ha sede il Centro Allerta Tsunami, attivo per tutto il Mediterraneo:

Quanto all’origine del terremoto albanese, bisogna chiamare in causa il gioco delle placche terrestri. Su grande scala «abbiamo la placca africana che preme verso nord contro quella euroasiatica», spiega Mancini. È il meccanismo che sta facendo lentamente chiudere l’antico oceano Tetide, il cui erede non è altri che il Mediterraneo. A livello dell’Italia e della Grecia, però, queste due grandi placche si frammentano in pezzetti più piccoli e complicati. «La costa albanese si sposta verso ovest di 4-10 millimetri all’anno», spiega Di Giovambattista. «E questa compressione è la causa dei terremoti odierni».

scosse terremoto albania
Le scosse del terremoto in Albania (La Repubblica, 27 novembre 2019)

In Italia nel frattempo (almeno nella parte centrale della penisola) la costa adriatica preme verso est al ritmo di 1-2 millimetri all’anno. All’interno, nell’Appennino, la crosta si estende generando terremoti come la sequenza di Amatrice e Norcia. Sempre a causa di queste pressioni, in un futuro molto lontano, il Mar Adriatico si restringerà, creando un ponte geologico fra noi e i Balcani.

I terremoti in Italia e il rischio del Big One

Il 7 dicembre scorso il vulcanologo dell’INGV di Catania Mario Mattia aveva spiegato: “L’eventualità che un giorno arrivi il ‘big one’? La risposta è: potrebbe arrivare. Non si può escludere. Non c’è dubbio che ci sarà un terremoto catastrofico simile a quello del 1693 ma è ovvio che non possiamo dire quando si verificherà. Catania è stata distrutta nel 1189, è stata rasa al suolo nel 1693 e siccome non è cambiata la geologia della zona, che è sempre quella, così come gli sforzi a cui sono soggette le faglie, è realistico ed ovvio pensare che altri eventi sismici importanti si verificheranno”. Intervistato dall’Adnkronos, ha aggiunto come “l’ultimo evento sismico del 1990 che purtroppo causò tredici vittime nella zona di Carlentini è solo un esempio di ciò che può succedere e fu, anzi, un terremoto relativamente piccolo che in altre parti del mondo non avrebbe creato danni”. “Pensate – ha evidenziato il vulcanologo- ad un terremoto di 7.5, come quello che è stato stimato del 1693, che tipo di danni potrebbe fare in una città estremamente vulnerabile come Catania. Ma lo stesso discorso – ha evidenziato Mattia- vale pure per Ragusa e Siracusa e le loro province che negli anni hanno edificato in modo dissennato”.

Terremoto a Firenze 9 dicembre 2019 2
“Quindi- ha ribadito- il ‘big one’ ci sarà ma non è prevedibile sapere quando. Se parliamo poi di vulcani- ha continuato Mattia- e di grosse eruzioni anche quelle potranno verificarsi in futuro. E il destino di chi vive in queste zone particolari della terra come la Sicilia, la California, alcune zone del Giappone. Convivere, insomma, con questo rischio”. Secondo il vulcanologo dell’Ingv, “purtroppo occorre dire che l’impatto di forti terremoti nella realtà siciliana e catanese in particolare sarebbe devastante”. Mario Mattia, parlando di impatto ambientale rispetto al rischio eruzioni sull’Etna ha sottolineato come “purtroppo si tende a costruire in zone a forte rischio di invasione lavica per scelte politiche a volte scellerate nel corso del tempo. Per citarne una su tutte -ha ricordato- negli anni ’50 un sindaco di Catania venne accolto tra ali di folla perché a Roma riuscì ad ottenere la declassificazione sismica del capoluogo etneo. Dando così la possibilità di sviluppare in modo importante l’attività edilizia a Catania, ma senza nessun rispetto di criteri antisismici. E questo fa sì che grossi pezzi della città siano vulnerabili”. Infine, in merito allo stato di salute del vulcano, Mario Mattia ha detto che “l’Etna, da vulcano attivo, è in una fase abbastanza attiva. I catanesi noteranno questo degassamento da tutti i crateri che significa come il magma sia a livelli molto superficiali. Nessun allarmismo – ha concluso- ma questo fa riflettere su come nei prossimi mesi o anni, ci sarà una eruzione di cui non possiamo prevedere l’entità”.

mappa sismica di roma
La mappa sismica di Roma (Il Messaggero, 9 novembre 2019)

E Roma? La città, spiegava ieri il Messaggero, è quasi circondata da un’area particolarmente attiva ad est e a sud-est. In pratica attorno alla Capitale c’è una sismicità naturale che è nota da tempo, al punto che qualche anno fa c’è stato un terremoto con epicentro nella zona di Castel Sant’Angelo. «Però per quanto ne sappiamo – spiega il presidente dell’INGV – i volumi determinati dalla lunghezza della faglia che si sviluppa in quell’area, possono liberare solo magnitudo piuttosto basse». Per cui ci potrebbero essere delle scosse con episodi  dalla forza non troppo elevata. E il Big One? «In realtà ogni sisma ha delle caratteristiche tettoniche e una magnitudo da sviluppare: in California ad esempio, non può esserci un terremoto forte come nel 1960 in Cile con una magnitudo da 9,5». A spiegarlo era sempre Doglioni: «Così come in Italia non può esserci una scossa superiore a 7,5».

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