I giovani che votano No e «odiano» Renzi

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-12-05

I primi dati sulla ripartizione del voto per fasce d’età indicano che Matteo Renzi ha perso il referendum costituzionale soprattutto tra i giovani che abitano nelle regioni dove il tasso di disoccupazione è più alto; un voto nel merito (del Jobs Act)

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Ieri sono andati a votare, calcolando anche gli elettori all’estero, 33.243.845 votanti, pari al 65,47% degli oltre cinquanta milioni di aventi diritto. Il Sì ha complessivamente ottenuto il 40,89% delle preferenze, pari a 13.432.187 di voti, mentre il No ha vinto con quasi venti punti di distacco con 19.419.528 voti (59,11%). Per amore di cronaca vale la pena segnalare che le schede nulle, contestate o annullate (ovvero tutto quello che dovrebbe afferire all’ambito dei temutissimi brogli) sono appena trecentomila.
giovani voti referendum 4 dicembre

Chi e dove si è votato No?

Ora che tutto è compiuto si va alla ricerca di chi ha votato Sì e chi ha votato No, perché tutti vogliono capire dove Renzi abbia sbagliato in questa campagna elettorale e soprattutto perché i promotori del No al Referendum siano riusciti a vincere. Mentre da parte renziana il mantra è quello di ricordare come quel 40% di ieri sia un grande risultato, in prospettiva delle politiche perché Renzi ha “guadagnato” almeno tre milioni di voti rispetto al 2013, attestandosi sulle stesse percentuali ottenute dal Partito Democratico alle Europee del 2014 l’analisi dei dati rivela quello che potrebbe essere il fallimento delle politiche del Governo in certe fasce della società. Solo in Toscana, in alcune province dell’Emilia Romagna e nella Provincia di Bolzano il Sì è riuscito a superare il 50%. In tutto il resto d’Italia (ricordiamo che il centrosinistra governa quindici regioni su venti ma solo mille dei quasi ottomila comuni italiani) il No ha vinto in maniera piuttosto netta sostanzialmente ovunque.


YouTrend già ieri notte ha messo a disposizione alcuni dati di Quorum SAS degli exit poll (quindi non si tratta di dati reali sui flussi di voto) che consentono di leggere la vittoria del No: stando all’elaborazione di Ipr Marketing-Istituto Piepoli avrebbero votato Sì soprattutto gli elettori più anziani. Tra gli over 54 i Sì hanno ottenuto infatti il 51%, mentre il No ha vinto nelle fasce d’età 35-54 anni (dove ha conquistato il 63%) e soprattutto in quella tra i 18-34 anni (dove il No ha conquistato il 68% contro il 32% dei Sì). Secondo altri istituti di rilevazione nella fascia d’età 18-34 anni avrebbe votato No addirittura l’81% degli aventi diritto. Per quanto riguarda i voti del Partito Democratico risulta che il 77% degli elettori del PD ha votato Sì, questo significa che il 23% degli elettori – quasi un quarto di coloro che solitamente votano PD – ha invece seguito le indicazioni di voto di Bersani e di altri leader del partito che si sono opposti a Renzi ma è ancora presto per valutare i flussi di voto per partito. La regioni del Mezzogiorno hanno fatto registrare le più alte percentuali di No, mentre il Sì ha vinto nella circoscrizione Estero e ha ottenuto risultati migliori nelle regioni del Nord Italia.


Dai dati di YouTrend emerge che laddove la disoccupazione, soprattutto quella giovanile, è maggiore il No ha vinto con percentuali più alte mentre al contrario nelle zone con meno disoccupati e con un relativo benessere il Sì è riuscito a ottenere anche il 59% dei consensi.

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Fonte: YouTrend

Disoccupazione giovanile e vittoria del No

Il discorso in realtà non cambia nemmeno se si considera il livello generale di disoccupazione senza limiti d’età: dove è maggiore il Sì ha perso mentre il No ha trionfato. Se venisse confermata dai dati la tendenza rilevata dagli exit poll si potrebbe parlare dei motivi veri che hanno spinto i giovani, soprattutto nelle aree a maggiore disoccupazione, a votare No alla riforma. E non ci vorrebbe molto per capire che in quei casi difficilmente il voto è stato nel merito del testo della riforma costituzionale ma che nella scelta ha pesato la personalizzazione del voto fatta da Renzi. I giovani in cerca di lavoro avrebbero quindi dato un voto alla tanto decantata riforma del lavoro voluta da Renzi, quel Jobs Act che ancora non è riuscito a invertire davvero il rapporto tra occupati e disoccupati in favore di forme di occupazione più stabile e a tempo indeterminato. Poco male per Renzi essere bocciato ora e non alla fine del triennio degli sgravi previsti dal Jobs Act, nel 2018, vale a dire quando si vedranno davvero gli effetti della riforma del mercato del lavoro in rapporto ai costi sostenuti dallo Stato.
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In realtà però dagli stessi exit poll emerge come il No abbia ottenuto forti percentuali anche entro altre categorie di lavoratori e che abbia vinto solo tra i pensionati. Questo non fa altro che confermare quello che per ora sapevamo già, ovvero che del merito della riforma non è interessato nulla a nessuno. Di questo si deve addossare la responsabilità principalmente a Renzi ma non sarebbe onesto non notare che anche tutti i suoi avversari hanno seguito questa linea di pensiero. Resta da valutare, ma questa è questione di mesi, chi avrà più da guadagnarci da questa sconfitta. Tra i renziani che ritengono che il 40% al referendum sia come un voto alle politiche (dimenticando tra le altre cose il diverso peso della circoscrizione esteri alle politiche) e Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e MoVimento 5 Stelle che ritengono di essere ognuno maggioranza a sé nel Paese è probabile che la vittoria nella sconfitta possa alla fine essere di Renzi. Il tutto dipende da come il Presidente del consiglio deciderà di giocare la partita della legge elettorale, ma l’ipotesi di un governo di coalizione Lega -M5S paventata da alcuni elettori di stretta osservanza renziana sembra, per il momento, davvero lasciare il tempo che trova.


Sempre dagli exit poll di Quorum SAS per SkyTg24 emerge come il punto critico sul quale gli elettori hanno deciso di votare No è stata la riforma del Senato, quasi nessun problema come prevedibile per l’abolizione del CNEL (che era stato messo lì come specchietto per le allodole visto che 20 milioni all’anno per una cosa della quale nessuno sapeva nulla non erano poi così rilevanti ai fini dei tagli alla spesa) e pure la riforma delle competenze delle Regioni, dopo la sbornia del federalismo pasticciato era vista sostanzialmente in modo positivo.

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