Gli usurai di Porta Portese che si spacciavano per la Banda della Magliana

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-07-03

La forza intimidatrice era dettata dall’ingenerare nelle vittime la convinzione di appartenere alla famigerata Banda della Magliana, facendo leva sulle omonimie con alcuni dei più noti componenti della famosa banda

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I poliziotti della Squadra Mobile di Roma, su disposizione del gip, stanno dando esecuzione a sette misure cautelari nell’ambito dell’operazione “Money Box”, avvenuta a Porta Portese. Secondo quanto si apprende, gli arrestati sarebbero accusati, a vario titolo, dei reati di usura estorsione e riciclaggio esercizio abusivo attività creditizia e favoreggiamento nel quartiere romano di Portuense.

Gli usurai di Porta Portese che si spacciavano per la Banda della Magliana

Le vittime preferite dei sette erano piccoli imprenditori e persone in difficoltà economiche della Capitale. La forza intimidatrice era dettata dall’ingenerare nelle vittime la convinzione di appartenere alla famigerata Banda della Magliana, facendo leva sulle omonimie con alcuni dei più noti componenti della famosa banda. In altri casi sono stati millantati rapporti stretti con le organizzazioni criminali dei Casalesi o dei Casamonica oppure della ‘ndrangheta. Gli interessi praticati superavano il 240% su base annua. La modalità di estinzione invece si basava sul modello cosiddetto ‘a fermo’: il debito sarebbe stato considerato estinto solo mediante il pagamento per intero della sorta capitale. In questo modo in pratica la vittima si trovava a restituire, nel giro di pochi mesi, addirittura circa il doppio o il triplo dei soldi ottenuti in prestito, sempre al netto delle “ristrutturazioni” del debito effettuate arbitrariamente dagli indagati man mano che non rientravano del denaro prestato nei tempi concordati.

usurai porta portese

Il gruppo aveva come base operativa un box all’interno del mercato di Porta Portese di Roma. Secondo quanto emerso dalle indagini, nemmeno la pandemia globale ha fermato le attività illecite degli indagati poiché dai riscontri appare chiaro come il gruppo aveva riorganizzato le attività riscuotendo i ratei usurai direttamente a domicilio. Gli indagati, di età compresa tra i 43 ed i 65 anni, sono soggetti stabilmente inseriti nel tessuto criminale romano. La resistenza delle vittime di usura veniva vinta mediante estorsione, perpetrata con minacce ed aggressioni fisiche. Le indagini hanno preso spunto da alcune denunce raccolte da vittime nella zona Portuense-Marconi-Trastevere, in cui gli indagati avevano istituito la loro base operativa all’interno del celebre mercato rionale di porta Portese, dove venivano fissati appuntamenti con i clienti, concessi materialmente i prestiti di denaro ed effettuate le riscossioni.

Le botte a chi non pagava

Le indagini si sono sviluppate a cavallo tra la fine del 2019 ed i primi mesi del 2020, al termine delle quali è stato possibile ricostruire le mansioni svolte da ciascun indagato, secondo un preciso progetto illecito consistente nella sistematica concessione di prestiti di denaro ad interessi usurari a soggetti in difficoltà economiche, con l’aggiunta di eventuali ‘multe’ che venivano comminate in caso di ritardo nei pagamenti. Tra gli indagati figura N.M., 46enne romano con vari precedenti di polizia alle spalle, che si avvaleva della stretta collaborazione dei fratelli D.G. e D.M. rispettivamente di 46 e 48 anni: i tre usavano come base logistica il box adibito alla vendita di accessori per auto, ubicato proprio nel noto mercato di Porta Portese.

usurai porta portese 1

A concorrere nell’illecita attività nonché nei fatti estorsivi vi era il suocero del principale indagato, S.M., di anni 65 con a carico vari precedenti di polizia, mentre V.A. e D.A., anch’essi romani rispettivamente di 48 e 43 anni, avevano il compito di recuperare dalle vittime le somme di denaro, frutto di usura e abusivo esercizio del credito. I proventi venivano affidati a D.M., 57enne con alcuni pregiudizi, cui è contestato il reato di riciclaggio in quanto, sfruttando la copertura fornita dalla propria impresa edile, si occupava di porre all’incasso gli assegni che le vittime avevano consegnato agli usurai quale garanzia per ottenere i prestiti, giustificando tali introiti quali saldi di fatture, cosi’ ostacolando l’identificazione della provenienza illegale del denaro.

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