Filippo Sensi alias Nomfup, da Renzi alla lotta per l’accettazione di sé | L’INTERVISTA

di Sara Manfuso

Pubblicato il 2022-07-08

L’intervista di Sara Manfuso a Filippo Sensi, anche sul bonus psicologo e sull’importanza di agire per salvaguardare la salute mentale

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Filippo Sensi, giornalista, esperto di comunicazione politica, seguitissimo e tranchant sul suo blog Nomfup, nel 2011 è l’autore di uno scoop che provoca le dimissioni del Ministro della Difesa britannico Liam Fox, accusato di aver permesso a un suo amico di fingersi suo collaboratore senza avere alcun incarico ufficiale. Dal 2018 deputato per il Partito Democratico.

Filippo Sensi alias Nomfup, da Renzi alla lotta per l’accettazione di sé | L’INTERVISTA

Filippo, un recente passato di tutto rilievo nel mondo della comunicazione politica come portavoce di due premier. Quali le differenze nel rapporto professionale con due figure apparentemente tanto diverse come Renzi e Gentiloni?

Due personalità molto diverse, due stili differenti, con una cifra comunicativa quasi opposta. Ho sempre pensato che, nell’aiutare nel campo della comunicazione, sia necessario riandare all’antico adagio del “sibi constet” (somigliati, stai nel tuo). In altri termini, snaturarsi non è mai vincente dal punto di vista comunicativo. Ragion per cui proporre la grisaglia a Renzi, così energico, sarebbe stato innaturale quanto mettere la cresta a Gentiloni, sempre così equilibrato. Nel mio piccolissimo ho provato a evitare questo errore. Ne ho fatti altri, tanti; anzi, degli errori comunicativi fatti a Palazzo Chigi in quegli mi prendo ovviamente intera la responsabilità.

Quali le caratteristiche che rendono un leader politico un buon comunicatore? Chi il migliore e chi il peggiore attualmente tra i big nazionali?

Capacità di leggere quello che succede, dunque visione, velocità, un filo di spregiudicatezza. Ma anche sapere cogliere le opportunità di fronte ai problemi più complessi e non perdere mai di vista la realtà, anche quella minuta, della vita delle persone. Non so se sia il peggiore, ma credo che tra i big nazionali Salvini sia quello del quale si nota, in maniera più evidente, la distanza tra la sua comunicazione e la realtà del Paese. Tra i nostri, apprezzo molto il lavoro su Instagram che sta facendo Lia Quartapelle. Mi pare ci sia molto lavoro, molta autenticità, e una messa a fuoco davvero non comune nello spiegare e rendere conto della attività politica. Un esempio positivo.

In questi anni, a partire dall’avvento del grillismo, all’imperativo di “uno vale uno” abbiamo visto ridursi la distanza tra rappresentante e rappresentato. Lo trovi un processo positivo, o è segno di una crisi della politica?

Opporsi alla cosiddetta disintermediazione mi sembra un vasto programma, a naso non vincente. Bisogna farci i conti, con intelligenza, senza demonizzazioni e senza sconti. Il grillismo stava in quella corrente lì, presa per tempo. Una cifra molto lontana da quello che penso sia la buona politica, ma anche la buona comunicazione. Sono felice che la politica torni a incarnarsi, a farsi prossima, a esserci.

Credi che lo stile del politico, influisca sulla sua credibilità? Per intenderci, meglio una pochette alla Conte o un chiodo alla Renzi (come quando andò ospite di Maria De Filippi), o sono aspetti del tutto secondari?

Lo stile vuol dire molto, ci dice subito chi pensiamo di essere. Un indicatore prezioso, che sia vero o meno. Diffido quindi di chi ritiene che questi aspetti siano secondari o ancillari. Mi ricorda quelle litanie secondo le quali il politico e la comunicazione sono due ambiti che devono restare separati. Penso sia un pericoloso abbaglio.

Quella che sta per volgere al termine è la tua prima esperienza da parlamentare. Recentemente, ti sei reso promotore del “bonus psicologo”. Da cosa nasce questa misura e come stanno reagendo coloro a cui è destinata?

La crisi del Covid non è stata mortale soltanto per l’impatto avuto sul pronto soccorso, sulle terapie intensive, sull’emergenza. Col tempo ci siamo resi conto che c’era un’ombra del virus, un alone che non avevamo previsto e che riguarda la nostra salute mentale. Ansia, depressione, autolesionismo, tendenze suicidarie sono emerse come l’onda lunga del Covid, in particolare, ma non solo, nelle generazioni più giovani. Per questo dopo due anni vissuti così abbiamo pensato di rendere più accessibile l’assistenza psicologica che non è un lusso per ricchi, ma una prima risposta a una situazione allarmante dell’anima del nostro paese, di questa età che stiamo attraversando. Certo, non basta. Certo, sono pochi soldi. Certo, ci vogliono risorse più ingenti e misure strutturali. Ma credo che sia prezioso che anche grazie al cosiddetto bonus psicologo sia emerso questo aspetto, quello del male dentro, che se ne sia fatto un dibattito ampio, che si sia accesa l’attenzione di tutti sulla nostra salute mentale.

Ritieni che in Italia esista ancora la “vergogna” di rivolgersi allo psicologo, figura guardata con sospetto da chi teme di essere giudicato “malato”, o che tutto questo sia solo un ricordo?

Lo stigma perdura. Ma sta cambiando, soprattutto grazie alle generazioni più giovani. Che sono state fondamentali per l’approvazione del bonus. Un primo tentativo, fatto al Senato dalla nostra coraggiosa Caterina Biti, si era arenato. Da quello scacco è venuta una ondata di indignazione sui social network da parte dei più giovani che, in sostanza, accusavano la politica di fregarsene dei loro problemi. Fate bonus per le zanzariere, ma della nostra salute mentale non vi interessa nulla. Senza quella indignazione, senza quella spinta non ci sarebbe stato il bonus. La lotta allo stigma si vince anche così, con quella indignazione, con quella passione.

Cosa pensi della pubblicazione dell’audio della seduta tra Fedez e il suo terapeuta? Un gesto di forte sensibilizzazione, o una inopportuna spettacolarizzazione?

Preferisco non entrare in questa polemica. Non sono in terapia, non vorrei dire cose improvvisate. E ho rispetto molto delle persone. Penso che non lo avrei fatto. Ma io non sono Fedez, quindi non mi permetto di giudicare.

In passato hai raccontato di essere stato vittima di bullismo a causa del tuo peso. Cosa si può fare per proteggere i nostri ragazzi, alla luce delle leggi già in vigore, in materia di lotta alle discriminazioni e violenza?

C’è un lavoro lungo da fare su questo. Sul nostro corpo. Sulla sua accettazione, innanzitutto da parte nostra. Sulla qualità del discorso pubblico su questi temi. Tanto da fare. Nelle famiglie. Nel silenzio di quelle camerette e di quegli specchi. Sui social. A scuola. Su questo vedo ancora tanta sofferenza, troppa.

Oggi ti vediamo con una fisicità diversa, hai perso molti chili. È il risultato di una tua decisione che ha che fare proprio con quel doloroso passato?

Non lo so dire. In realtà, a fronte di qualche analisi un po’ sballata ho deciso di punto in bianco di cambiare la mia alimentazione. Mi ci sono messo e l’ho fatto. C’è voluto molto tempo. Sono rimasto grasso, perché non si cancella quello che sei. Ma qualche taglia l’ho persa e forse alla mia età può avere un senso. Ma tutto qui. Sono molto più triste, però.

Una canzone e un libro che raccontano chi è Filippo.

Diciamo che Pellaria di Carl Brave e Franco 126 mi mette allegria. E che amo la lingua di Claudia Durastanti e il mare di Nadia Terranova.

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