L’Etna, la faglia Fiandaca e il rischio del Big One

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-12-27

Il geologo Tozzi: la Sicilia Sud-Orientale è seduta sopra un mare di magma e dunque non si possono escludere né nuove scosse, né eruzioni da quote più basse. Una nuova scossa potrebbe provocare molti morti

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La faglia sotto il vulcano e il mare di magma che scorre sotto l’Etna costituiscono un pericolo costante. E il geologo Mario Tozzi spiega oggi sulla Stampa che non si possono escludere nuovi sismi o eruzioni più distruttive. Dopo il terremoto di Catania e la notte di paura per il sisma di magnitudo 4.8  che alle 3 e 20 della notte di Natale torna l’incubo del vulcano.

L’Etna, il vulcano e l’eruzione prossima ventura

Questi terremoti, spiega Tozzi, sono causati dai movimenti lungo una enorme spaccatura, lunga 300 chilometri, che costeggia la Sicilia Orientale (la scarpata di Malta) e sarebbero in grado di causare decine di migliaia di morti nel capoluogo etneo, uccidendo quasi la metà della popolazione e radendo al suolo una città che non è assolutamente preparata a reggere l’impatto di quello che potremo (impropriamente) chiamare il nostro «Big One».

Come dimostrano i danni di questi giorni nei paesi etnei. Secondo recenti studi, la scarpata di Malta sarebbe anche il «rubinetto» del magma dell’Etna, che risalirebbe lungo superfici curve che pescano a oltre 20 chilometri di profondità, prima di stazionare nelle camere magmatiche più superficiali e alimentare nuove eruzioni.

Questi corridoi profondi preferenziali (specie di «autostrade») spiegano anche perché l’Etna sia cresciuto così in fretta e in modo così consistente rispetto ad altri vulcani. La Sicilia Sud-Orientale è seduta sopra un mare di magma e dunque non si possono escludere né nuove scosse, né eruzioni da quote più basse con apertura di nuove bocche.

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Etna, la mappa delle scosse (Corriere della Sera, 27 dicembre 2018)

Un altro pericolo, spiega ancora Tozzi, è lo Stromboli: un’eruzione importante potrebbe portare molto vicina all’esposizione la camera magmatica superficiale del vulcano e causare fenomeni di instabilità e frane che potrebbero innescare maremoti giganteschi. Molto più consistenti di quello del dicembre 2002.

Stromboli non ha nulla a che vedere con l’Etna: la sua attività è legata allo scontro che avviene, all’altezza di Sicilia e Calabria, fra la placca africana, che spinge da Sud, e quella europea che resiste a Nord. La prima si piega e finisce sotto la seconda, fondendo in profondità e dando luogo a vulcani (Isole Eolie) e terremoti profondi. Una situazione simile a quelle indonesiane.

Etna, il rischio di un’eruzione a bassa quota

Il direttore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Catania, Eugenio Privitera conferma oggi al Corriere della Sera che il terremoto è collegato alla nuova fase eruttiva dell’Etna annunciata dalla cenere che il 23 dicembre ha avvolto la città. Quel giorno un’esplosione ha provocato una lunga frattura che parte dalla base del cratere di Sud-est, a quota 2.900 metri, e prosegue fino a 2.200.

«Da questa fessurazione si è generata una colata che si riversa nella desertica valle del bove» dicono all’Ingv. Quindi lontano dai centri abitati,tanto che fino a due giorni fa le guide continuavano a portare su turisti e curiosi .«Da vulcano attivo l’Etna fa il suo mestiere — cerca di sdrammatizzare il vulcanologo del Parco dell’Etna Salvo Caffo —. Tutto rientra nella normale fisiologia di una struttura complessa che è tra le più monitorate al mondo».

Le eruzioni ad alta quota sono una costante e motivo di attrazione per i turisti. I pericoli veri sono, appunto, quelle a bassa quota che nella storia sono state anche le più devastanti, a partire da quella del 1669 che arrivò fino a Catania.

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Etna, la faglia sotto il vulcano (La Repubblica, 27 dicembre 2018)

«La scossa dell’altra notte —spiega Privitera —è il segnale che il vulcano ha accumulato molta energia che non riesce a trovare sfogo e cerca di farsi strada tra la roccia. È stato un terremoto molto superficiale con un epicentro di appena un chilometro. Fosse stata più profonda non ci sarebbero stati danni».

L’Etna e la faglia di Fiandaca

La pressione del magma in risalita si scarica sulle aree più fragili. In questo caso una lunga faglia ben nota agli esperti. «È la Fiandaca — dice Privitera — che va dalla Timpa di Acireale (quasi in mare ndr), attraverso i paesini colpiti dalla sequenza di questi giorni, sino a Pian del Vescovo a 1.500 metri». Anche se può sembrare strano, più che l’area del terremoto, è questa la vera zona di crisi. «Qui abbiamo registrato un significativo aumento dei tremori». Spiega Repubblica:

Magma, gas e ceneri da lunedì 24 hanno trovato una via d’uscita dalla Bocca Nuova, dal Cratere di Nord-Est e hanno aperto una frattura fresca sul versante est, tra 3mila e 2.400 metri di quota. Ieri l’eruzione si è attenuata. Le scosse, iniziate il 24, sono state più di 1.100, la maggior parte rilevabile solo dai sismometri, 60 sopra magnitudo 2,5. Ma quella della notte di mercoledì ha raggiunto magnitudo 4,8.

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L’Etna e la sismicità della Sicilia (La Stampa, 27 dicembre 2018)

L’allerta resta massima, anche se nella serata di ieri la frequenza e l’intensità delle scosse si stavano attenuando. Gli esperti confidano che la pancia del vulcano si calmi.

Foto copertina da: Twitter Alitalia

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