Fact checking
Chi ha vinto e chi ha perso le elezioni amministrative
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2017-06-13
Dove sono finiti i voti di Grillo, cosa ha da esultare il PD e perché il centrodestra non deve giungere a “coalizioni affrettate”: tutto quello che ha detto e quel molto che non ha detto il voto locale di giugno
Affluenza in calo e crescita dell’astensionismo, evidente successo del centrodestra e Partito Democratico in arretramento, sconfitta per il MoVimento 5 Stelle. L’analisi del voto alle elezioni amministrative 2017 porta numeri e dati interessanti per i flussi elettorali e permette di comprendere il capovolgimento dei rapporti di forza in molte realtà locali, anche se è inutile trarne conclusioni per il quadro politico nazionale.
Chi ha vinto e chi ha perso le elezioni amministrative 2017
L’affluenza è in calo dal 66,8% del 2012 al 60,1%. Nei 25 capoluoghi il centrosinistra ha vinto a Palermo e Cuneo mentre il centrodestra ha portato a casa Frosinone. “Nelle restanti 22 città — spiega oggi Dino Martirano sul Corriere della Sera — si sono ribaltati i rapporti di forza tra gli schieramenti, con l’esclusione della candidata del centrosinistra a Verona. Ora il centrosinistra è in testa in 6 ballottaggi (Alessandria, Monza, Lodi, Lucca, Pistoia, Aquila) mentre il centrodestra parte in vantaggio in 13 capoluoghi (Asti, Como, Padova, Verona, Genova, La Spezia, Piacenza, Rieti, Lecce, Taranto, Catanzaro, Oristano, Gorizia). In altre tre città (Parma, Trapani e Belluno) sono le liste civiche ad avere ottenuto il miglior risultato”.
Alle elezioni del 2012 — osserva il senatore Federico Fornaro (Articolo 1), che è un attento analista dei flussi elettorali — «i rapporti di forza erano capovolti: il centrosinistra, che al primo turno aveva preso Pistoia e La Spezia, era avanti in 13 città; il centrodestra, che al primo turno aveva vinto a Lecce, Catanzaro e Gorizia, affrontò solo due ballottaggi da coalizione che si fa inseguire».
Negli altri 141 comuni sopra i 15mila abitanti il centrosinistra conquista 22 sindaci ed è primo in 45 città e secondo in 41. Il centrodestra ha vinto in otto città ed è in testa in 44 ballottaggi. Nove sono i ballottaggi conquistati dal M5S: un solo comune sopra i 15mila abitanti.
Dove sono finiti i voti di Grillo?
“Il M5S avrebbe difficoltà a dire che non ha perso, in alcune città retrocede anche rispetto alle amministrative del 2012”, spiega Rinaldo Vignati dell’Istituto Cattaneo. E, analizzando i flussi elettorali di 5 città (La Spezia, Alessandria, Pistoia, Padova, Piacenza), l’istituto emiliano rileva “il bacino dei candidati M5s si osserva una dispersione in tante direzioni diverse”. Un dato che si aggrava in termini numerici nel raffronto con le politiche del 2013. Ad Alessandria, ad esempio, 4 anni fa il M5S arrivava al 20% mentre oggi si ferma al 6,5%: “astensione, candidato grillino, candidato di centrodestra e candidato di centrosinistra”, le direzioni che ha preso l’elettore M5S, spiega il Cattaneo. Secondo una parziale analisi di Youtrend in totale il Pd si attesta al 16,6% e il M5S al 9%.
Ma neanche i Dem possono ridere. Secondo l’Istituto Cattaneo il centrosinistra ha subito “significative perdite verso l’astensione e verso altre forze politiche”. Un’astensione che aumenta se si guarda al Pd e al confronto con le politiche del 2013. A Genova, ad esempio, i Dem perdono “il 7,7%” del corpo elettorale che ha scelto di non votare. A Piacenza la quota raggiunge l’8%. E nella “rossa” Toscana per il Pd non va meglio: i Dem perdono alcuni Comuni (Forte dei Marmi o Rignano sull’Arno) che vanno al centrodestra o a liste civiche mentre a Lucca e a Pistoia pagano il dazio delle scissioni. E l’emigrazione degli elettori Dem contribuisce, in alcune città, a ribaltare l’ordine tra centrosinistra e centrodestra. A Genova l’elettorato che nel 2012 premiò il candidato del centrosinistra Doria si dirige, oltre che su Crivello, in parte sull’astensione (il 5,8%) e in parte (3,4%) sul candidato M5S Pirondini. Mentre Marco Bucci, candidato del centrodestra mantiene il suo bacino del 2012 fagocitando quello che, cinque anni fa, votò per il candidato leghista Rixi. Il centrodestra, in tante città, si mostra attrattivo. Ma in termini assoluti i numeri di FI e Lega non sono altissimi.
Cosa ha da esultare il PD?
Il professor Roberto D’Alimonte sul Sole 24 Ore avverte però che anche per il centrodestra non c’è da trarre conclusioni affrettate per il voto nazionale. E segnala tutte le possibili criticità di una coalizione “affrettata”:
Per Berlusconi, Salvini e la Meloni non è un problema stare insieme quando si tratta di eleggere un sindaco. Ma non è la stessa cosa eleggere un presidente del consiglio. Quella che una volta chiamavamo la coalizione di Berlusconi non c è più, ma non è ancora nata la coalizione di Salvini. Una volta c’era la secessione a dividere Forza Italia dalla Lega Nord, oggi c’è l’Europa. La secessione era un problema nostro, l’Euro è un problema nostro ma anche dei nostri partners.
Berlusconi ci ha abituato a manovre spericolate in nome della unità del centro-destra. La sua capacità di aggregazione è straordinaria. Ma il Berlusconi di oggi non è quello del 1994, del 2001 o del 2008. E soprattutto il Salvini di oggi non è il Bossi di ieri. Su quale programma e su quale candidato premier potrebbero mettersi d’accordo? Quello che ha funzionato a livello locale non è facilmente replicabile a livello nazionale, soprattutto con una legge elettorale che spinge a stare insieme prima del voto dentro una lista unica.
E la questione delle liste civiche? A parte che è una scusa per non ammettere di aver perso, la strategia delle liste civiche serve a coinvolgere il maggior numero di candidati e quindi rimediare più voti per i sindaci in corsa. Ma, spiega Alessandra Ghisleri di Euromedia Research a La Stampa, in questo modo PD e Forza Italia «hanno sacrificato molti voti che sarebbero andati alle rispettive liste pur di allargare l’area di riferimento. Quella che fa capo ai «Dem» vale il 20,2 per cento; l’altra che ruota intorno a Berlusconi e Meloni arriva al 16,9. Globalmente il centrosinistra sfiora il 37 per cento (senza contare il 6,9 della sinistra-sinistra, con i socialisti in bella evidenza). La destra nel suo insieme supera il 34, e spera».