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Il pasticcio della mobilità a Roma: l’Ecopass diventa “Retropass”

di Erennio Ponzio

Pubblicato il 2018-09-06

A Roma dell’Ecopass se ne parla da anni. Ma siamo ancora all’approvazione delle linee-guida. Che, a sorpresa, sono state puntualmente bocciate mercoledì scorso da numerosi consiglieri della stessa maggioranza. Ecco perché. E come andrà a finire (spoiler: a tarallucci e vino)

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La chiamano “congestion charge”, sul modello londinese, cioè tassa di congestione. Ma anche ecopass, con quel prefisso che fa tanto trendy. Si tratta di un pedaggio da pagare per entrare nel centro della città. Nella capitale inglese esiste da oltre 15 anni. E funziona: 11,5 sterline al giorno, destinate agli investimenti per il trasporto pubblico. Lo scopo, nobile, è di scoraggiare l’uso dei mezzi privati, riducendo la congestione e i rischi per la salute dei cittadini. A Milano la novità l’ha introdotta l’ex sindaca Letizia Moratti. A Roma, invece, dove se ne parla da anni, siamo ancora all’approvazione delle linee-guida. Che, a sorpresa, sono state puntualmente bocciate mercoledì scorso da numerosi consiglieri della stessa maggioranza, intimoriti dall’esteso fronte dei critici che impazza sui social. Gli slogan dei motorizzati digitali, con impeto futurista, parlano di “diritto alla mobilità”, “ennesima tassa sulle auto” e soprattutto temono che il reddito di cittadinanza – lo danno già per acquisito – si dilapidi per entrare nel centro storico. Cittadini questuanti sì, ma di carburante monetario e petrolifero.

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L’ecopass a Roma (Il Messaggero)

Il pasticcio della mobilità a Roma: l’Ecopass diventa “Retropass”

Il nodo capitolino è il solito: ciò che altrove si fa e basta, nella piazza romana delle trasversalità iperpolitiche suggellate dalle cene nei ristoranti di moda diventa oggetto di perenni trattative, con il contorno di una ridda di dichiarazioni da protagonismo mediatico. Anche perché i Cinquestelle stanno, di fatto, portando avanti le proposte dell’era Marino con gli esponenti dem disorientati tra il loro ruolo di ideatori originari dei provvedimenti e di oppositori al grillismo imperante. In mezzo a questo turbinio c’è il presidente della Commissione Mobilità del Comune di Roma, il giovanissimo pentastellato della prima ora Enrico Stefàno, con accento sulla “a” come “adolescenza rampante”. E biciclettara. Quindi con animo tendente al luddismo e che probabilmente aspira a rivestire i panni del Mister Wolf di “Pulp Fiction”, ma rischia di fare la fine di Savonarola. Infatti non gliene va bene una. E un po’ se le cerca. All’inizio dell’estate ha lanciato una rivoluzione non proprio soft per le strisce blu nel centro storico: sosta che da 1,2 passa a 3 euro l’ora, cancellazione dell’abbonamento mensile da 70 euro e dei parcheggi gratuiti a fascia bianca Inevitabile la pioggia di critiche sui social, con epiteti che nel migliore dei casi richiamano figure da circo. “Non è un modo per fare cassa ma per incentivare l’uso dei mezzi pubblici – è stato il commento di Stefàno. Peccato che, a proposito di mezzi pubblici, gli sia andata male anche l’istallazione della prima corsia preferenziale della giunta Raggi in via Emanuele Filiberto, zona Manzoni, proprio a ridosso del liceo scientifico frequentato dalla sindaca: s’è scolorita subito e la situazione è ora peggio di prima. Male anche la corsia preferenziale a Portonaccio, quartiere sulla Tiburtina: pioggia di ricorsi degli automobilisti multati sulla corsia in quanto la segnaletica sarebbe sbagliata.

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Lo Stefàno è poi riuscito a scontentare tutti con un progetto di stravolgimento del traffico dopo l’apertura della metro C a San Giovanni, inizialmente lanciato da un consigliere dem di zona, l’architetto Ciancio, passato poi a Leu: chiudere viale Castrense, che equivarrebbe a mettere un tappo allo sbocco della trafficatissima tangenziale est. Motivo? Salvaguardare 200 metri di Mura Aureliane, di cui la giunta, però, non riesce ad assicurare nemmeno una dignitosa manutenzione ordinaria. Così non solo gli si sono rivoltati contro quei comitati locali che lo appoggiavano, ma ha costretto consigli d’istituto scolastici e persino numerose assemblee condominiali della zona a firmare delibere per bocciare la sua proposta. Il locale comitato “Villa Fiorelli-Tuscolano” ha compiuto un sondaggio rilevando come l’80 per cento degli intervistati si è detto contrario alla chiusura dell’importante e storica strada. Il pasticcio Ecopass è solo l’ultimo incidente di percorso. La delibera sarà riproposta, ma i maligni prevedono un mercanteggiamento con i dem e soprattutto un mare di eccezioni che finiranno per sgonfiare il provvedimento. Lo stesso Stefàno ha messo le mani avanti, anticipando al Fatto quotidiano che “ogni veicolo avrà un numero di accessi gratuiti, tra i 50 e i 150” e “saranno previste esenzioni per i mezzi meno inquinanti, ibiridi ed elettrici”. Tempi lunghi anche per l’attuazione: “la misura entrerà in vigore quando diverse opere e progetti che stiamo portando avanti avranno visto la luce”. Anche la sindaca ora vagheggia sui tempi: “L’Ecopass si farà quando arriveranno in città i nuovi bus e tram”.

Binario triste e solitario

Ecco, proprio l’alternativa alle auto offerta dai mezzi pubblici romani rappresenta il vulnus di ogni provvedimento. La situazione attuale è peggiore persino di quella del Ventennio. Negli anni Trenta, infatti, Roma era solcata da 59 linee di tram per oltre 400 chilometri di esercizio. Oggi le linee sono soltanto sei per una rete di appena 31 chilometri. I disastri lasciati dalla guerra, tram distrutti soprattutto nel deposito di Porta Maggiore e almeno una sessantina di vetture sottratte dai nazisti e rimesse in servizio in Germania, sono poca cosa rispetto a decenni di politiche amministrative scellerate, che per favorire il trasporto su gomma – in logica Fiat – hanno smantellato un patrimonio tranviario tra i migliori al mondo, con vetture d’eccellenza svendute in quattro e quattr’otto per fare cassa. I problemi della mobilità romana nascono anche da qui. I mezzi pubblici a Roma non funzionano, li utilizza appena un terzo di passeggeri rispetto a Parigi, un quarto in confronto a Londra. L’azienda che li gestisce, l’Atac, è ai limiti della bancarotta: per anni è stato esempio di rozzo clientelismo (confermato dalle ispezioni della Ragioneria dello Stato), appalti gonfiati, trasversalità e continuità politica. La Guardia di Finanza indagò persino su una truffa di biglietti clonati, alla Totò e Peppino, un pozzo per creare una contabilità parallela dell’azienda e riciclare fondi per la politica.

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La linea C della metropolitana, che rischia di essere ricordata come la più costosa tra le metropolitane mondiali, è l’ultimo esempio di inefficienza e malaffare. Il progetto partito negli anni Novanta è ancora incompleto e ha accumulato sette anni di ritardo rispetto al cronoprogramma. A San Giovanni, che doveva costituire la stazione di interscambio diretto tra le linee A e C, in realtà chi vuole passare da una linea all’altra deve risalire dal livello banchina (-3) al livello atrio (-1), ripassare i tornelli (con lo stesso biglietto) e tornare due piani più sotto. Problema: incompatibilità tra i sistemi di sicurezza delle due metro. C’è poi il capitolo dell’inchiesta della Procura di Roma, con 25 persone che rischiano il rinvio a giudizio con l’accusa, a seconda delle posizioni, di truffa, falso e corruzione. Certo, i cinquestelle sono estranei rispetto a tutto ciò. Ma le proposte bislacche di funivie cittadine, pecore tosaerba, ecopass in un’enorme area compresa nell’anello ferroviario e chiusura di tratti vitali per salvaguardare 200 metri di Mura Aureliane (su quattordici chilometri totali decisamente malridotti) non rappresentano certo il miglior biglietto da visita per il futuro di una città che ormai finisce quotidianamente sui giornali stranieri. Non più per la sua storia, ma per il livello da primato del degrado odierno.

Leggi sull’argomento: Ecopass a Roma: lo scontro nel M5S sul pedaggio che si pagherà per girare in città

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