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I due fermi per l'omicidio di Emanuele Morganti

Mario Neri 28/03/2017

I due sono stati fermati dai carabinieri della Compagnia di Alatri e del Reparto operativo provinciale di Frosinone. «L’hanno finito con una sprangata alla testa: non è stata una rissa, è stata un’esecuzione. Alla fine gli hanno anche sputato addosso»

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Due persone sono in stato di fermo per il coinvolgimento nel pestaggio mortale di Emanuele Morganti venerdì notte all’esterno del Miro Music club di Alatri. I due sono stati fermati dai carabinieri della Compagnia di Alatri e del Reparto operativo provinciale di Frosinone, che indagano coordinati dal procuratore capo De Falco. I loro nomi sono Mario Castagnacci e Paolo Palmisani e sono fratellastri: uno dei due è stato fermato a Roma, città dove lavora in un ristorante.

I due fermi per l’omicidio di Emanuele Morganti

Sono in tutto nove le persone indagate per la rissa e il pestaggio che ha portato alla morte di Emanuele Morganti. Tre le ipotesi di reato che a titolo diverso ci sono omicidio preterintenzionale, rissa e possesso di attrezzi atti ad offendere. Nel frattempo ci sono anche due fermati per l’aggressione avvenuta questa sera a due dei 9 presunti partecipanti alla rissa e che sembra essere stata parte di una caccia all’uomo da parte di gente decisa a vendicare la vittima. Si ipotizza il risvegliarsi di una vecchia rivalità tra la gente di Alatri e quella di Tecchiena, popolosa frazione della stessa Alatri e luogo di residenza della famiglia Morganti. Un gruppo di circa dieci persone, armate di mazze, ieri si è aggirato alla ricerca degli indagati, intercettandone alla fine due e picchiandoli selvaggiamente. Tra gli indagati ci sono due uomini di Alatri, padre e figlio, e due fratelli. Proprio i due fratelli sarebbero stati pestati mentre si recavano in procura.
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Francesco Morganti, fratello di Emanuele, ha rilasciato un’intervista a Repubblica in cui ha raccontato la versione dei fatti appresa dagli amici e dalla fidanzata dell’ucciso:

«Emanuele era lì con la fidanzata, al bancone del bar. L’hanno provocato, spinto, e poi fuori l’hanno massacrato. I dettagli non li posso conoscere, ho sentito cento versioni, non voglio aggiungere la mia. Credo nella giustizia su questa terra, e non è una frase fatta».
Emanuele è stato attaccato da dieci, forse venti persone. Buttato a terra, preso a calci.
«Poi l’hanno finito con una sprangata alla testa: non è stata una rissa, è stata un’esecuzione. Alla fine gli hanno anche sputato addosso». Ecco, perché tanta violenza? Perché questa esplosione di rabbia? Non la comprendono neppure gli inquirenti, nessuno ancora l’ha spiegata. «Si spiega solo in un modo: cattiveria gratuita. Non c’è bisogno di andare lontano».

Il movente dell’omicidio Morganti

A dispetto delle voci che si erano rincorse nei giorni precedenti, c’è solo un albanese coinvolto nell’inchiesta: i protagonisti principali dell’orrore subìto da Emanuele sono tre italiani. Tra cui anche un uomo di 52 anni, padre del ventisettenne che avrebbe colpito a sprangate la vittima. Un amico di Emanuele ha provato a fermare i protagonisti dell’omicidio, ma è stato picchiato anche lui: «Ho paura, sembravano delle belve – ricorda, davanti al cancello della caserma dei carabinieri di Alatri prima di entrare per essere interrogato -. Io ho fatto l’impossibile per salvare Emanuele ma non c’è stato niente da fare. Scalciavo, cercavo di tirarlo dalla mia parte ma quelli mi hanno riempito di botte».

Le immagini delle telecamere della zona del locale pubblico e le testimonianze raccolte hanno permesso di definire il quadro della vicenda. Di qui i due fermi che rimanderebbero alla responsabilità più grave, l’omicidio. Da definire invece il movente, se l’aggressione sia stata premeditata o maturata sul momento. Una differenza notevole, perché da essa dipende il capo d’imputazione: omicidio volontario con l’aggravante della premeditazione, quindi una trappola vera e propria, oppure omicidio preterintenzionale.

Leggi sull’argomento: Morganti, come è morto Emanuele

 

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