Dove sono finite le tasse nel DEF di Renzi

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-04-07

Il premier promette lo stop alle clausole di salvaguardia da finanziare con i risparmi sulla spesa per interessi e la spending review. Che però potrebbe toccare gli enti locali, con conseguente aumento della fiscalità generale. Intanto però promette un taglio delle tasse per il 2016. A patto che…

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«Chi dice che aumentano le tasse o che ci sono i tagli dice semplicemente una cosa che non è vera». Matteo Renzi non è particolarmente euforico in occasione della presentazione del Documento di Economia e Finanza, ma qualche promessa e qualche sparata gli scappano lo stesso. La buona notizia è che le clausole di salvaguardia sono state eliminate per il 2016, e questo già di per sé è un risultato. Ma ci sono due incognite nella storia: il piano di riforme strutturali che sarà varato nel prossimo CdM è ancora in attesa, e non sappiamo se servirà a ottenere flessibilità da Bruxelles. E i tagli di spesa già annunciati con la spending review, che, come sappiamo, colpirà soprattutto il Sud.
 
DOVE SONO FINITE LE TASSE NEL DEF DI RENZI
Nel dettaglio vediamo dalle tabelle pubblicate sul sito della presidenza del consiglio dei ministri i numeri che il governo elargisce in questa tornata di programmazione economica. Lo 0,7% di crescita del PIL per quest’anno è considerato una sottostima, dopo che l’anno scorso l’esecutivo fece il contrario sbattendoci il muso. «Sarei pronto a scommettere che saranno più positivi», ha detto oggi in conferenza stampa, e da qui si capisce che le condizioni economiche, per lo meno dell’anno in corso, per l’Eurozona saranno talmente positive da riverberarsi anche sul caso italiano, che storicamente cresce meno degli altri partner europei ma riesce a cogliere il dividendo della crescita altrui. Vediamo però cosa dice il testo del comunicato del CDM:
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Per il 2016, infatti, il Governo si impegna a cancellare l’aumento delle tasse contemplato dalle clausole di salvaguardia, per un valore corrispondente a 1 punto di PIL. Questo intervento viene effettuato grazie ai risparmi della revisione della spesa e al beneficio che si registra grazie alla crescita maggiore e alla spesa per interessi sul debito inferiore rispetto alle previsioni precedenti.
Il ricorso alla “clausola delle riforme” prevista dalle linee guida sulla flessibilità delle regole europee pubblicate dalla Commissione a gennaio di quest’anno, consente di contenere l’aggiustamento strutturale a 0,1% del PIL rispetto allo 0,5% altrimenti richiesto dalle regole comuni.

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Come potete vedere, il governo programma di reperire 13-14 miliardi attraverso una minore spesa per interessi e i tagli alla spesa pubblica (per un totale, secondo quanto si dice in questi giorni, di dieci miliardi). Il governo dovrebbe spiegare come pensa di tagliare dieci miliardi di spesa pubblica senza costringere i destinatari dei tagli o a rinunciare ai servizi oppure ad aumentare le tasse locali: probabilmente troveremo una risposta nel DEF; più probabilmente la risposta costituirà una prima smentita dell’affermazione sull’assenza di nuove tasse in questi provvedimenti. Ovvero, sarà sicuramente vero che questi non saranno di per sé portatori di nuove tasse o di aumenti della pressione fiscale, ma è anche vero che se in virtù dei tagli aumenteranno le tasse locali, il cittadino potrà forse apprezzare la differenza lessicale ma alla fine la sua tasca se ne accorgerà meno. Secondo quanto ha detto Renzi, però, una buona notizia sul tema c’è: il governo ha programmato di rinviare il frutto della probabile maggiore crescita rispetto a quella stimata nel DEF a tagli di tasse nel 2016. Questo significa che se l’Italia crescerà a un ritmo più robusto rispetto all’attesa, il prossimo anno potremo usufruire di una diminuzione vera della fiscalità generale. Allo stato però questa è soltanto una promessa.

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L’infografica sul DEF del governo (Corriere della Sera, 7 aprile 2015)

LA STORIA DEI TAGLI E LA PRESSIONE FISCALE
Lo stesso discorso vale per la polemica sulla pressione fiscale aumentata che oggi tutti ricordano a Renzi: è data in aumento perché l’effetto degli 80 euro, per una spesa complessiva di 10 miliardi di euro che va rifinanziata ogni anno, viene contabilizzato dai parametri come incremento invece che come diminuzione,perché la sua attuale configurazione tecnica ne impone la contabilizzazione tra le spese invece che tra le minori entrate. Ma allora dove sono finite le tasse nel DEF di Renzi? Tutto sta a capire dove il governo troverà i sedici miliardi necessari per bloccare le clausole di salvaguardia. Se alla fine impegnerà gli enti locali in una spending review sanguinosa, usciranno dalla pressione fiscale che gli enti dovranno giocoforza aumentare. Più o meno la stessa conclusione a cui arriva oggi Daniele Manca sul Corriere della Sera:

Ma il rischio vero è che la riduzione dei trasferimenti agli enti locali abbia l’effetto opposto di quello annunciato.
Regioni, comuni e le appena nate città metropolitane si sono impegnate anch’esse a non aumentare il prelievo per i cittadini. Ma quello che è accaduto per la casa negli anni scorsi ha lasciato più di un segno sui portafogli e il reddito degli italiani. Quello che doveva essere un vantaggio per i cittadini: avvicinare il prelievo delle tasse dove si usufruiva dei servizi, si è in realtà trasformato in una sorta di doppia tassazione. Un federalismo a corrente alternata.
I numeri, come si sa, possono essere utilizzati e letti in molte maniere. La pressione fiscale è cresciuta. Ci si potrà dire che si deve vedere anche la composizione di quella media. Resta la sgradevole sensazione che statistica o non statistica, la strada per evitare che tagli a livello centrale si trasformino in aumenti a livello locale sia ancora molto lunga.

L’ultima domanda a cui bisognerebbe rispondere adesso è: esiste un’alternativa? «Purtroppo, il Governo con il Def illustrato oggi conferma la linea di finanza pubblica recessiva e iniqua in atto», afferma Stefano Fassina, esponente della minoranza del Pd. «Giusto disinnescare l’aumento dell’Iva – è l’analisi di Fassina – ma la previsione di ulteriori tagli al welfare locale per 10 miliardi porterà a un effetto negativo sul Pil finanche superiore a quanto si sarebbe verificato con gli aumenti di imposte. In alternativa ai tagli al welfare locale, si dovrebbe utilizzare lo spazio sotto il vincolo del 3% del rapporto deficit e incominciare a riqualificare e riallocare la spesa, in particolare verso significative misure di contrasto alla povertà. Lo scenario definito dal Def implica galleggiamento della nostra economia e disoccupazione senza miglioramenti. Quando il governo italiano incomincerà a aprire a Bruxelles una discussione sui problemi sistemici dell’eurozona e sull’insostenibilità della rotta liberista?». Probabilmente il governo potrà farlo quando a Bruxelles si dimenticheranno che il governo appoggiato dallo stesso Fassina ha votato il fiscal compact. Cioè, mai.

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