Disoccupati perché ignoranti

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2015-05-27

L’OCSE spiega perché i giovani italiani non trovano lavoro: la preparazione culturale è la più bassa dell’area. Italia prima per il numero di NEET e di coloro che non finiscono gli studi. Bisogna sostenere un sistema scolastico che eviti la dispersione e aiutare chi non ce la fa. E che le competenze acquisite possano essere spese

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L’OCSE ha pubblicato “Youth, Skills and Employabilityil rapporto 2015 sulle prospettive dei giovani nel mondo del lavoro. La situazione di partenza è nota, i giovani vogliono entrare nel mondo del lavoro ma fanno fatica a trovare una posizione lavorativa. Secondo i dati (che fanno riferimento al 2013) nella fascia d’età tra i i 16 e i 29 la mediamente una persona su sette fa parte della categoria dei NEET (acronimo per Not in Education, Employment or Training) ovvero coloro che non hanno lavoro, non studiano e non sono impegnati in una fase di apprendistato o tirocinio. In totale nell’area OCSE si parla di oltre trentacinque milioni di NEET.

Le abilità dei giovani italiani a confronto con la media OCSE (fonte: compareyourcountry.org)
Le abilità dei giovani italiani a confronto con la media OCSE (fonte: compareyourcountry.org)

L’ITALIA IN FONDO ALLA CLASSIFICA
Mentre in Italia si discute di Buona Scuola e si tentano di valutare gli effetti del Jobs Act il ritratto che l’OCSE fa del nostro paese è decisamente poco lusinghiero. I giovani italiani (ovvero il futuro del Paese) sono in fondo alla classifica stilata dall’OCSE sulle competenze spendibili nel mondo del lavoro. Insomma in parole povere sono troppo ignoranti per poter trovare un lavoro nelle condizioni attuali dove sono richiesti un alto livello di competenze e di specializzazione. Risulta così che il tasso di occupazione dei giovani italiani è il più basso dell’area OCSE (52,8%) e con il 26,1% siamo secondi per percentuale di NEET (solo la Spagna fa peggio di noi con un 26,9%).
OCSE giovani italiani percentuali NEET
Certo a pesare è anche la mancanza delle tanto invocate e agognate riforme strutturali che consentano di affrontare il problema e soprattutto di creare nuove prospettive e nuovi posti di lavoro. Rimangono però alcuni dati molto preoccupanti riguardanti il nostro Paese, ad esempio il basso livello dei punteggi in competenze matematiche (e non solo) fatto registrare dai giovani italiani:
OCSE giovani italiani competenze
Ma come si evince dal seguente grafico il problema dello scarso livello delle competenze e delle conoscenze degli italiani nella fascia tra i 16 e i 29 anni non è dovuto solo alla mancanza di preparazione individuale. Pesano (e molto) anche il fatto che i luoghi di lavoro non promuovano l’acquisizione di nuove competenze che non diventano così una risorsa per il mondo del lavoro. I giovani, che già fanno fatica ad acquisire le skill necessarie (siamo in fondo alla classifica anche per quanto riguarda i metodi di acquisizione delle abilità individuali), non vedono premiati i loro sforzi al momento di iniziare a lavorare.
OCSE giovani italiani skills
Quindi se da un lato è vero che i giovani italiani hanno le loro responsabilità dall’altro risulta evidente come non sia solo loro la “colpa”. Il sistema scolastico e soprattutto chi assume i giovani non fa nulla per favorire la creazione e lo sviluppo di una classe di lavoratori in grado di farsi carico di responsabilità sul posto di lavoro. Gli indicatori mostrano che non solo sul lavoro non si imparano nuove competenze ma nemmeno vengono affidati compiti da svolgere in autonomia (per tacere del fatto dello scarsa importanza data alla competenze informatiche sul luogo di lavoro).
OCSE abilità e competenze sul lavoro
Inutile poi lamentarsi dei bamboccioni che stanno a casa da mammà se poi sul posto di lavoro i giovani vengono trattati sempre come tali.
 
LA RICETTA DELL’OCSE
Per risolvere il problema secondo l’OCSE è necessario operare su due fronti: il versante scolastico e quello del mondo del lavoro. I paesi che vogliono migliorare la condizione dei propri giovani devono impegnarsi a creare e sostenere un sistema scolastico in grado di formare e trasmettere competenze al maggior numero di alunni, evitando la dispersione scolastica (in Italia appena il 22,7% delle persone tra 25 e 34 anni ha proseguito gli studi dopo la scuola secondaria).Non si tratta solo di privilegiare competenze spendibili sul mercato del lavoro o di creare un sistema rigidamente meritocratico dove vanno avanti solo i migliori ma anche di aiutare coloro che non ce la fanno. Sostenere i casi difficili con programmi scolastici adeguati è una delle chiavi, secondo l’OCSE, per evitare che molti giovani rimangano senza lavoro.


Per quanto riguarda il mercato del lavoro l’OCSE lo dice molto chiaramente, è necessario che le competenze faticosamente acquisite possano essere spese. Ma non solo, il crescente e diffuso ricorso da parte dei datori di lavoro ai contratti di lavoro temporaneo deve essere bilanciato da un intervento del legislatore per favorire la transizione a forme contrattuali più stabili. I vari aspetti sono interconnessi, non ha senso investire nell’istruzione e nell’acquisizione di competenze se queste risorse non possono essere spese all’interno dell’ambiente lavorativo. E per farlo è necessario anche rafforzare il rapporto tra scuola e mondo del lavoro.


Al tempo stesso è necessario intervenire con misure di protezione per i lavoratori in modo da consentire ai neoassunti (magari a tempo determinato) di non rimanere intrappolati in una situazione di precarietà che mette a rischio la possibilità di sviluppare nuove competenze in modo produttivo e di mettere a frutto le abilità acquisite durante il periodo di formazione. In poche parole se l’ignoranza impedisce di trovare lavoro il precariato stronca sul nascere le possibilità dei giovani di mostrare quanto valgono.

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