“Disability card”: l’ennesimo inganno di un Ministero che discrimina

di Iacopo Melio

Pubblicato il 2021-12-16

“Non abbiamo bisogno di ulteriori etichette che ghettizzano la persona con disabilità ma di far applicare le leggi che già ci sono e che funzionano. Siamo persone e non dei panda”

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Ha suscitato clamore la neo arrivata “Disability Card”: è davvero utile? Serve a includere oppure discrimina le persone con disabilità? Faciliterà la loro vita o la renderà più complicata? Ancora una volta, così come successo per l’istituzione del Ministro della Disabilità, si sono create due “fazioni” tra persone disabili e non solo (e in quest’ultimo caso aggiungo “purtroppo”, perché a parlarne dovrebbero essere soltanto i diretti interessati). Personalmente, ho deciso di esprimermi solo una volta informato, e come sempre lo faccio in modo oggettivo e imparziale (quindi no, inutile dire che io sia condizionato dall’idea che sia figlia di un Ministro che non approverò mai).

Facciamo intanto un passo indietro e spieghiamo cosa sia la Disability Card: si tratta di una tessera valida solo in alcuni Paesi dell’Unione Europea (Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Malta, Slovenia, Romania e Italia), consentendo a chi la possiede di accedere a titolo gratuito, o a tariffe ridotte, ad alcuni luoghi, beni e servizi. Ecco qui, intanto, il primo problema ignorato dai più: la Card non è accettata ovunque, e là dove è accettata non è comunque detto che io, persona con disabilità, ci possa arrivare tranquillamente. Per questo, già così mi viene da dire che uno strumento simile sarebbe coerente pensarlo solo una volta abbattute tutte le barriere architettoniche e logistiche legate al turismo e alla socialità… Ma andiamo pure avanti.

Accedere a luoghi, beni e servizi a titolo gratuito o ridotto se sei disabile è già possibile, oggi, o quantomeno nel nostro Paese. È sufficiente, qualora la disabilità non fosse visibile, mostrare il tagliando disabili dell’auto o la certificazione medica. Ergo: la Disability Card, anche in questo caso, non aggiunge niente di nuovo se non un ulteriore documento da doversi portare dietro (che poi, come suggerisce qualcuno, se proprio si vuol fare “un salto avanti” sarebbe sufficiente inserire le informazioni della Disability Card all’interno della Tessera Sanitaria Elettronica che tutti i cittadini hanno, disabili e non, anche se in realtà già oggi si può scaricare dal sito INPS il QR-Code che certifica tutto quello che riguarda la disabilità di una persona, ma forse questo la Ministra non lo sa?). E così siamo a due punti negativi, ma sì, proseguiamo ancora…

melio ministero disabilitàDovete sapere che non tutti hanno piacere a mostrare, in modo spudorato, le loro difficoltà. Anzi, diciamolo pure: a volte ritrovarsi in situazioni in cui la disabilità dev’essere palesemente dichiarata può mettere non poco in imbarazzo o a disagio: un sentimento più che legittimo, no? Non è un caso che, per tutelare la privacy (quella privacy oggi tanto tirata in causa per via del Covid), la foto-tessera e i dati sensibili sul tagliando disabili per l’auto si trovano sul retro, e non sul fronte esposto sul cruscotto alle forze dell’ordine, questo proprio perché non è necessario sapere chi ci sia a bordo di quella vettura. Ora, immaginate avere un documento “in più” (e quindi superfluo) che viaggia in direzione opposta alla tutela della privacy, pensato cioè come un “marchio”, un bollino, una carta di identità esclusiva dei disabili, da mostrare al bisogno per accedere a qualcosa, soprattutto riguardante svago, cultura, vita sociale… Un modo per sottolineare ancora una volta che si è “speciali”, e quindi diversi, per giunta in un periodo storico in cui tanto si chiede la propria riservatezza. Trovate niente di più ghettizzante e discriminatorio? Io no, ma se nemmeno questo terzo punto vi convince, possiamo riflettere ulteriormente con una domanda abbastanza naturale.

Era proprio indispensabile la “Disability Card” pensata così? O meglio, allo stato attuale della realtà, era davvero la priorità? Beh, considerando che una persona con disabilità, in Italia, arriva a malapena ad avere cinquecento euro di pensione, con i quali dovrà pagare non solo vitto e alloggio per sé e per chi lo assiste, ma anche le medicine e quelle cure specialistiche che lo Stato non gli garantisce (perché solo la minoranza dei disabili può permettersi un lavoro “vero”, a causa delle assunzioni decisamente poco agevolate – a proposito, al momento chi lavora e ha una disabilità pari o inferiore al 99% si vede tolta pure la pensione!), oltre a doversi appellare a qualche divinità o non si sa quale aiuto, magari di un’associazione di volontariato, per avere un’assistenza domiciliare qualificata ogni giorno (assistenza che oggi, appunto, ha un costo improponibile che è quasi sempre a carico del disabile stesso dato che sono pochissimi i sostegni economici a disposizione per “Vita Indipendente” o “Dopo di noi”, per non parlare delle tutele inesistenti dei Caregiver che a malapena ricevono settecento euro mensili per rinunciare a lavoro, tempo libero e vita privata)… Direi proprio di no.

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E la lista, vi garantisco, potrebbe allungarsi ulteriormente: dagli insegnanti di sostegno mai abbastanza specializzati e mai abbastanza garantiti (soprattutto a inizio anno scolastico); ai servizi ad hoc, come il trasporto scolastico, che hanno un costo spropositato se pensiamo a quanto si risparmierebbe utilizzando dei mezzi pubblici su misura di tutti; fino ai costi di ristrutturazione mai calmierati in modo adeguato, oppure l’housing sociale in quantità minime; per non parlare delle barriere architettoniche negli edifici pubblici, sui luoghi di lavoro, nelle scuole, esercizi commerciali, ovunque! E se vi dicessi che una carrozzina, ovvero il paio di scarpe di un disabile, che si logora ogni giorno andando in giro, può essere sostituita gratuitamente solo ogni sei anni, costringendo molti a stare su un ferro scassato oppure a sborsare fino a trentamila euro di tasca propria? E se vi dicessi che il nomenclatore che contiene l’elenco di ausili che l’ASL concede, non viene aggiornato da quando sono nato io? Provateci voi a lavorare, oggi, con un PC del 1992, senza la vostra cara ADSL.

Tra l’altro, ad oggi, non si sa nemmeno a quali “servizi”, nello specifico, si avrà accesso dal momento che non si sono ancora presi gli accordi con pubblico e privato, che dovrebbero poi accettarla per effettuare riduzioni o ingressi gratuiti, ad esempio. E questo, ditemi voi, se non sottolinea ancor di più quale razza di specchietto per le allodole, di pura propaganda, sia questa Card: mi ricorda tanto un mio cugino che, da giovane, ha comprato le sue prime VHS ancor prima di acquistare il videoregistratore, solo che i videoregistratori a quei tempi li vendevano davvero ed erano già accessibili a tutti, mentre un welfare dignitoso appare ancora un miraggio.

Ecco, credo possa bastare questo per ricordarci che no, la “Disability Card” non solo non rappresenta “un salto avanti” rispetto agli altri Paesi d’Europa (al massimo, se proprio vogliamo, ci dà una svegliata ricordandoci quanto siamo rimasti indietro fino a ora, e quanto in realtà rimarremo ancora), ma continua ad alimentare quel senso di diversificazione, di discriminazione, di recinto che, d’altronde, è ciò che fa ogni giorno lo stesso Ministero che l’ha partorita, e lo fanno per loro stessa natura, per il solo fatto di esistere.

Ecco quale sarebbe la vera inclusione che ci allineerebbe alla civiltà: far applicare le leggi che già ci sono e che funzionano, rivedendo quelle poco efficaci e approvandone di nuove che possano costruire davvero un Paese su misura di tutte e di tutti, senza il bisogno di attaccare ulteriori etichette alle persone, e senza dover ragionare per scompartimenti e categorie. Lo ripeterò fino alla morte: siamo persone e non dei panda.

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