I dieci miliardi (in più) che l'Italia chiede all'Europa

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-08-15

L’obiettivo del governo è di ottenere l’ok a chiudere il 2017 con lo stesso deficit concesso dall’Ue per il 2016: al 2,4%. Uno sconto sul consolidamento di 0,6 decimali, ovvero 10 miliardi (16,5 in totale contando lo sconto già ottenuto). Somma che si dovrebbe sommare alle risorse di spending, voluntary disclosure 2 e risparmi sullo spread per impostare una manovra espansiva da 20-25 miliardi

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Il governo Renzi ha intenzione di chiedere alla Commissione Europea un margine maggiore di flessibilità rispetto a quello concordato. Il rapporto tra deficit e PIL dovrebbe salire al 2,4% “liberando” (dando cioè la possibilità di spendere) dieci miliardi di euro in più, probabilmente nella prossima Legge di Stabilità. L’Europa ha già concesso all’Italia circa 6,5 miliardi di flessibilità per il 2017. Roma avrebbe potuto ridurre il deficit dal 2,4% del 2016 all’1,8%, secondo quello che sembrava già all’epoca un grosso sconto sul risanamento rispetto all’1,4% previsto. Ma il premier punta a ottenere da Bruxelles il via libera per disinnescare la clausola dell’IVA e per l’operazione sulle pensioni che è tornato a promettere in vista del referendum sulle riforme.

I dieci miliardi che l’Italia chiede all’Europa

L’obiettivo però sembra complicato da raggiungere. Anche se il rallentamento della crescita del prodotto interno lordo certificata dallo zero spaccato nel secondo trimestre 2016 certificato un paio di giorni fa dall’Istat è un campanaccio d’allarme non solo per l’economia italiana, ma anche e soprattutto per la Renzinomics e per la sua evidente scarsa incidenza sulla crescita del paese. Per il 2017 il governo aveva incassato uno sconto sul risanamento (il deficit dovrà scendere dal 2,4% all’1,8 anziché all’1,4), ma non grazie alla flessibilità, bensì in virtù delle clausole sui migranti e alla revisione tecnica del calcolo della crescita potenziale (output gap). Spiega però oggi Alberto D’Argenio su Repubblica:

Ma dopo la gelata di Ferragosto, con il dato sul Pil fermo nel secondo trimestre, al governo servono altri soldi: «In queste condizioni centrare l’1,8% – spiega un esponente di governo – rischia di ammazzare l’economia». E dunque Roma chiederà di accedere di nuovo alla flessibilità prevista per riforme e investimenti, rovesciando la decisione dei falchi dell’Ecofin argomentando che la frenata del Pil è ascrivibile a circostanze eccezionali come Brexit, terrorismo e incertezza globale. L’obiettivo del governo dunque è di ottenere l’ok a chiudere il 2017 con lo stesso deficit concesso dall’Ue per il 2016: al 2,4%. Uno sconto sul consolidamento di 0,6 decimali, ovvero 10 miliardi (16,5 in totale contando lo sconto già ottenuto). Somma che si dovrebbe sommare alle risorse di spending, voluntary disclosure 2 e risparmi sullo spread per impostare una manovra espansiva da 20-25 miliardi a base di stop all’aumento dell’Iva, investimenti, pensioni e misure per aumentare la competitività delle imprese (digitalizzazione e incentivi per la contrattazione aziendale in modo da aumentare la produttività).

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Il PIL dell’Italia negli ultimi trimestri (La Repubblica, 13 agosto 2016)

Sul fronte fiscale ci sarà la sforbiciata Ires, anch’essa gradita a Bruxelles, mentre al momento fuori dal menù resta l’anticipo del taglio dell’Irpef (previsto per il 2018), sempre che Renzi in campagna elettorale per il referendum non si impunti. Al momento non sono in corso contatti tra Roma e Bruxelles e la pausa di Ferragosto sarà rotta solo il 22 agosto a Ventotene con il vertice tra Renzi, Merkel e Hollande. Lì il premier si confronterà con la Cancelliera, che incontrerà nuovamente in bilaterale il 31 a Maranello. Solo dopo avere saggiato i margini di manovra che la Bundeskanzlerin è pronta a concedergli, Renzi andrà alla carica con Bruxelles per un negoziato durissimo che si chiuderà solo alla vigilia del 20 ottobre, giorno in cui il governo dovrà notificare la Legge di Stabilità alla Commissione. La premessa perché le richieste italiane sul deficit vengano prese in considerazione è che il debito pubblico inizi a calare, come promesso a Bruxelles. I dati di tre giorni fa lo davano alla cifra record di 2.248 miliardi, ma il governo con le privatizzazioni conta di riportarlo sui binari.

Il conto dei dieci miliardi in più potrebbe anche finire per sommarsi con il necessario salvataggio del Monte dei Paschi di Siena con soldi pubblici, che potrebbe finire sul tavolo in autunno. Ma è inutile nascondersi il significato di questa richiesta: il 2015 ha subito l’effetto positivo della Renzinomics: decontribuzioni per lavori stabili, bonus 80 euro e coda nel 2016 con l’abolizione della tassa sulla prima casa, hanno dato fiato ai consumi che, nella prima parte di quest’anno, avevano ancora un buon ritmo. Ma la crescita non si è irrobustita. E al primo rallentamento del ciclo l’Italia è tornata a soffrire più degli altri dopo essere cresciuta meno degli altri, esattamente come da tradizione dell’economia del Belpaese rispetto agli altri partner europei. Non è casuale che nei retroscena dell’altroieri i virgolettati pilotati del premier lavorassero a individuare un colpevole: «Non saranno dei vincoli europei a mandare l’Italia per la terza volta in recessione». In realtà i vincoli europei sono sì un freno ormai ridicolo visti gli anni della crisi e i pessimi risultati dell’Austerità imposta in questi giochi di obblighi che hanno caratterizzato gli ultimi anni dell’Unione a guida esclusivamente tedesca.

Spendere spendere spendere

Ma anche quando i vincoli sono stati allentati i risultati non sono stati esaltanti. Considerati tutti gli interventi di politica economica e la mancata crescita, per sterilizzare le clausole di salvaguardia la manovra dovrebbe arrivare a toccare 25 miliardi di euro. Il ministro Graziano Delrio in un’intervista rilasciata ieri al Messaggero è tornato sulla necessità di una spinta poderosa agli investimenti pubblici per creare occupazione, battere la deflazione e il rallentamento del Pil, annunciando che la Finanziaria in cantiere ci punterà: «Ottenuta la flessibilità in Europa, ora l’ obiettivo, come ha detto anche il presidente Renzi, è spingere forte sugli investimenti pubblici per dare una scossa all’ economia -continua Delrio-. Ma, lo sottolineo, senza interventi a macchia di leopardo che, come accaduto troppo spesso in passato, non hanno portato a nulla. La filosofa è cambiata radicalmente. Insieme alle Regioni, il governo ha individuato le priorità infrastrutturali, i progetti cantierabili e le opere utili per unire il Paese, sviluppare gli hub, mettere in sicurezza il territorio. Adesso si può partire davvero». I fattori che l’Italia cercherà di far valere nelle trattative con la Ue saranno “la Brexit, il terrorismo e la crisi dei migranti. Inoltre c’è un nuovo contesto geopolitico che ha determinato un peggioramento della situazione a livello globale”, sottolinea ancora il sottosegretario Sandro Gozi su Repubblica. Sul fronte interno “si confermano le nostre priorità, lavorare sulle riforme e sugli investimenti per recuperare produttività, riduzione della pressione fiscale e lotta alla disoccupazione”. “Secondo noi la riforma del bilancio varata a luglio, la revisione della spesa, la responsabilizzazione delle amministrazioni e le privatizzazioni ci aiuteranno a raggiungere gli obiettivi prefissati e mantenere gli impegni”, precisa quindi Gozi.

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