Cosa hanno fatto i grillini a Roma Metropolitane

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-11-04

La giunta annuncia la liquidazione dell’azienda che progetta e realizza le linee della metro. I lavori fino a Piazza Venezia devono proseguire comunque, altrimenti il Comune sarebbe costretto a pagare penali milionarie. Ma il problema è sempre lo stesso: a che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca?

article-post

A differenza di tante altre pare corretta la decisione della Giunta Raggi di porre in liquidazione Roma Metropolitane, “perché non ha fatto il suo lavoro”. L’azienda comunale che si occupa della progettazione e della realizzazione delle linee della metropolitana sarà al centro di un consiglio straordinario oggi. L’obiettivo, fa sapere il Campidoglio, è di ridurre i costi di circa 6/7 milioni l’anno. Saranno mandati via anche molti dirigenti, tra i quali quelli con stipendi tra i 100mila e i 200mila euro l’anno.

Cosa succede a Roma Metropolitane

Il punto però adesso è cosa succederà in conseguenza della decisione della Giunta Raggi. Il tracciato di partenza prevedeva 25,5 chilometri di binari, 30 stazioni e tre miliardi di spesa, poi cresciti di altri 700 milioni per la progettazione iniziale carente; i soldi stanziati alla fine basteranno per arrivare fino alla fermata Colosseo e soltanto nel 2021, perché il tratto è stato già finanziato dal governo, dalla Regione Lazio e dal Campidoglio. E il problema più importante che dovrà gestire la giunta grillina sarà proprio cosa fare con l’eredità economica della liquidazione:

L’accordo attuativo firmato nel 2013 tra la partecipata e la società che si occupa della realizzazione dell’opera, prevede la risoluzione consensuale del contratto nel caso in cui non venga finanziata, entro il 31 dicembre 2016, la tratta oltre piazza Venezia. Ma fino a quella stazione i lavori devono proseguire comunque, altrimenti il Comune sarebbe costretto a pagare penali milionarie. I contratti in essere, per garantire la continuità dell’attività, potrebbero essere trasferiti a un nuovo soggetto o affidati direttamente al Comune (più verosimilmente a un’agenzia controllata, come l’Agenzia per la mobilità).
«Per noi sarebbe meglio che questa liquidazione si faccia al più presto – commenta Franco Cristini,presidente del consorzio Metro C – Oggi noi non abbiamo più interlocutori validi». Più complicato invece il trasferimento dei 200 dipendenti della società in liquidazione. I sindacati sono in allerta, perché potrebbero essere assunti, senza passare da un concorso, soltanto i lavoratori che in precedenza avevano lavorato per il Comune. L’assessore alle Partecipate, Massimo Colomban ha rassicurato: «Tuteleremo i lavoratori».

roma metropolitane
Roma Metropolitane: il tratto di Metro C progettato che non sarà realizzato (Repubblica, 4 novembre 2016)

Non bisogna poi dimenticare l’11 luglio scorso la procura, che da tempo ha avviato una serie di fascicoli sulle gare d’appalto e sui ritardi nella consegna dell’opera, ha disposto una serie di perquisizioni nella sede di Metro C in via dei Gordiani. Gli investigatori hanno proceduto al sequestro di una serie di documenti e faldoni per il procedimento che vede indagate 13 persone tra ex amministratori locali, imprenditori e massimi dirigenti dell’epoca di Roma Metropolitane e Metro C. Nel procedimento coordinato dal sostituto procuratore Erminio Amelio risultano indagati anche l’ex assessore alla mobilità della Giunta Marino, Guido Improta, l’ex dirigente del ministero dei Trasporti, Ercole Incalza. Per tutti si ipotizza il reato di truffa aggravata.

Roma Metropolitane, un disastro della vecchia politica

Inutile poi ricordare la vicenda dei 58 milioni per ATAC che vennero spostati dal bilancio all’epoca del Commissario Tronca per finanziare il consorzio. Ma rimane un punto: le scelte dei 5 Stelle, dalle Olimpiadi alla Nuvola dell’Eur, è stata finora improntata soltanto al blocco di un’eredità comunque imbarazzante. E, come spiega oggi Sebastiano Messina su Repubblica, questo può essere necessario ma di certo non è sufficiente:

Ora, il punto è proprio questo. Troppe opere, in Italia, sono state realizzate pagando un prezzo insopportabile di sprechi e di corruzione, e tutti gli italiani perbene condividono in toto quella voglia di pulizia che il Movimento 5 Stelle ha sintetizzato nel suo slogan più applaudito: «Onestà». Questo Paese non sopporta più di scoprire a ogni telegiornale che ci sono ancora appalti truccati, costruttori imbroglioni e funzionari corrotti. E’ ora di dire basta, ma basta sul serio, ed è anche su questo — forse soprattutto su questo — che si fonda il consenso popolare che Grillo è riuscito a coagulare.
Ma la soluzione agli sprechi e alla corruzione non può essere il rifiuto di qualsiasi opera e la cancellazione di ogni programma. Gridare “no” a tutto, solo perché con gli appalti si rischia la corruzione, oggi è un ottimo strumento per drenare il consenso di chi non ne può più, ma se diventa un metodo di governo — come sta accadendo a Roma — desertifica il domani e avvia il contagio della depressione. Perché una capitale, e un grande Paese, hanno un bisogno vitale di speranze, di sogni, di progetti. E l’immobilismo conduce all’immobilità, che non è il trionfo della purezza ma lo stato più vicino al rigor mortis.

Tanto per citare Don Milani, a che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca?

Leggi sull’argomento: La sceneggiata del M5S sulle bancarelle

Potrebbe interessarti anche