The Italian Lockdown – Cronache da un Paese in Quarantena: 5. Surfin’ USA

di Lorenzo Favella

Pubblicato il 2020-03-15

Domenica, 15 marzo 2020. Era ormai passata una settimana intera, da quella notte in cui l’uomo dal lungo naso, che per ignote ragioni risiedeva a Palazzo Chigi, aveva messo l’Italia in quarantena. Prima il nord, poi tutto il resto. La notizia era inizialmente filtrata sulla stampa, in via non ufficiale. La prima a dirmelo, per …

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Domenica, 15 marzo 2020.

Era ormai passata una settimana intera, da quella notte in cui l’uomo dal lungo naso, che per ignote ragioni risiedeva a Palazzo Chigi, aveva messo l’Italia in quarantena. Prima il nord, poi tutto il resto.

La notizia era inizialmente filtrata sulla stampa, in via non ufficiale. La prima a dirmelo, per telefono, era stata mia sorella, che poi era rientrata a casa dopo la chiusura del pub, verso le due e mezzo di notte, giusto in tempo per assistere assieme all’annuncio in tv.
Mano nella mano, avevamo ascoltato. Vicini, guardandoci negli occhi, senza dire niente, sentendo entrambi il battito dei nostri cuori, come era sempre stato. Forse ancor di più. Visto che il ventre di chi ci aveva tenuti in grembo, nostra madre, era finito per primo in zona rossa.

Nei giorni a seguire, si era molto speculato su chi potesse aver fatto filtrare la notizia. Anche la CNN l’aveva data in anticipo. C’è chi diceva fosse stato qualcuno in regione Lombardia, chi indicava in Casalino, quello strano fenomeno uscito dalla casa del Grande Fratello, il Rasputin della situazione.
In fin dei conti, non era poi così importante. Anzi, per certi versi poteva anche essere stato un giochino più che lecito. Lanciare la notizia, vedere l’effetto che fa, e poi eventualmente confermarla. La politica italiana, non solo da noi, campava da sempre di questi mezzucci. Anzi, forse non è nemmeno giusto definirli tali. E’ proprio così che funziona, da sempre.

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Se devo andare indietro con la memoria, il primo che mi viene in mente è Benito Mussolini. Era al governo da un paio d’anni quando, dopo l’assassinio di Matteotti, fece un discorso in parlamento, nell’ottobre del 1924, in cui ventilava la possibilità che si potesse andare a un voto politico, sul governo di coalizione da lui presieduto. Qualche mese dopo, il 3 gennaio del 1925, affondò il colpo e si assunse “la piena responsabilità politica, morale e storica” di tutto ciò che stava accadendo, all’epoca, in Italia.
“Siate certi che nelle 48 ore successive al mio discorso, la situazione sarà chiarita” tuonò.
Magari gli ci vollero più di 48 ore, non è che i treni marciassero sempre in orario nemmeno con Lui, certo è che nei mesi seguenti il Parlamento venne sempre più delegittimato, ogni forza di opposizione messa a tacere, e Benito si incamminò dritto per dritto in quella lunga avventura che lo portò a sfilare in gloria davanti alle truppe nel Corno d’Africa, per poi stringersi nella carlinga di uno Storch della Lutwaffe, spiccando il volo dalla cima del Gran Sasso, fino ad atterrare qualche tempo dopo, appeso per i piedi, alle travi di un benzinaio in piazzale Loreto.
Helter Skelter, nel giro di vent’anni.

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Pensate stia insinuando che questo virus ci porterà indietro di un secolo? No. Sto solo divagando. Sono giorni oziosi e complicati, i pensieri vanno e vengono, si rincorrono senza sosta, ma di sicuro non voglio imbastire insulsi paralleli col passato.
L’Italia non sta affatto procedendo in un pericoloso vortice, alla mercé di un dittatore. Siamo semplicemente in anticipo, alle prese col virus.

E’ curioso assistere a come gli altri Paesi, per lo meno quelli vicini a noi, stiano ripercorrendo i nostri stessi passi, con qualche giorno di ritardo. Che coincide con il calcolo fatto da alcuni esperti, riguardo lo spargersi della pandemia. L’Italia risulta avanti, sulla tabella di marcia, in termini di contagi. E di morti. E più sono i contagi, e più sono i morti, e più i leader politici reagiscono di conseguenza.
Insomma, ciò che succede qui, finisce per verificarsi paro paro negli altri Paesi, anche se c’è chi propone ricette diverse, come nel Regno Unito. Vedremo fino a quando reggerà, il bluff di Bojo, o se davvero ha tutti gli assi in mano. Di sicuro c’è che in Inghilterra, le restrizioni sono minime. Hanno giusto fermato il campionato di calcio.

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Se capita di avere amici stranieri, ecco che vieni sollecitato, per conoscere come si stanno evolvendo le cose qui da noi.
Tra tutti, quello che risulta più inafferrabile e curioso, è il mio amico Spiderman, che era mio vicino di casa da ragazzo e che da anni vive a Los Angeles, dove insegna Medicina all’Università. Prima ancora che Trump annunciasse il blocco di ogni volo per l’Europa, ha deciso di caricare un po’ delle sue cose in macchina, si è lasciato la California alle spalle, e ha preso a puntare verso Est, parlandomi di soluzione finale.

I messaggi che mi arrivano sono assai criptici e al telefono non risponde mai. Visto che è in compagnia di sua moglie, Iris, non mi va di seccarlo più di tanto, anche se avrei voglia di chiacchierare con lui. Mi limito così a commentare le foto che mi manda, durante i suoi spostamenti.

A Mexican Hat, all’interno di una riserva indiana, vicino alla Monument Valley, mi aveva inviato la foto di un piatto, il Navajo Taco che, credeteci o no, è identico al gnocco fritto emiliano, con l’aggiunta di una manciata di fagioli. Gliene avevo parlato io stesso, una volta che feci una vacanza da quelle parti, e per questo ci teneva a mostrarmi che si ricordava di quell’aneddoto. Ma sui veri motivi del suo viaggio, niente. Buio assoluto.

In realtà, mi aveva detto che pensava di prendersi un sabbatico, per valutare alcune proposte di lavoro, qui in Italia. La mia sensazione è che si fosse stancato di vivere negli Stati Uniti, fatto sta che non aveva rinnovato l’affitto della sua casa a Silverlake, per poi ritrovarsi spiazzato, quando al nord hanno iniziato a chiudere le Università e si era ancora a febbraio.

Attraversando le lunghe distese del Texas, non aveva fatto che inviarmi foto di tumbleweeds rotolanti, in quel paesaggio desertico. Non so, forse era un messaggio subliminale, ma non avrei saputo quale significato dare.
Era stata poi la volta di New Orleans, dove era andato a passarsi una serata nel French Quarter, ad ascoltare jazz alla Preservation Hall. Conoscevo bene quella città. Ci avevo vissuto un anno, da studente, e avevo ancora contatti con la famiglia che mi aveva ospitato. Ho pensato che Spiderman e sua moglie potessero aver voglia di farsi scorrazzare in giro da loro, così da conoscere parti della città meno turistiche, ma niente. Anche in questo caso, Spiderman aveva tergiversato dicendo che non sapeva quanto si sarebbe fermato nella Crescent City.

Non molto. Le ultime foto lo mostravano già in Florida, prima in una spiaggia di Miami, poi sempre più giù, fino a Key West, l’estrema punta meridionale. E qui mi ha fatto proprio invidia, perché in Florida non ci sono mai stato e le Keys mi hanno sempre intrigato, fin da quando vidi quel film con Humphrey Bogart e Lauren Bacall, un classico di John Houston.

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L’ultimo messaggio mostrava proprio una foto di quel film, con Bogie che impugna una pistola, pronto a far fuoco, a bordo di un battello con un cadavere che giace alle sue spalle.
“One way or another” aveva scritto, a mo’ di didascalia.
“What do you mean, exactly?” avevo replicato.
Nessuna risposta.

Che personaggio, spiderman. Da ragazzo, si era talmente intrippato con l’eroe della Marvel, che tentava di arrampicarsi sui muri. C’erano momenti in cui, con le mani stese a mo’ di ragno, sembrava quasi che ci potesse riuscire. Ogni volta, rimaneva appeso qualche istante in più. Ricordo che a un certo punto avevamo preso a fare spedizioni nel retro dei giardini delle case, scavalcando siepi e cancelli, veri antesignani del moderno parkour, che oggi i ragazzi immortalano in video cliccatissimi su You Tube.

Mi chiedevo come mai avesse attraversato l’America a tutta velocità, nello spazio di cinque o sei giorni. Uno dei fascini del Coast to Coast, è sicuramente quello di farselo in macchina, ma per riuscirci in così poco tempo, dovevano per forza aver guidato a turno, fermandosi lo stretto necessario, per dormire in qualche motel e poi via, di nuovo in viaggio.
Era una cosa un po’ insensata, come se dovessero raggiungere un posto preciso nel minor tempo possibile. Chissà perché. Certo è che io, chiuso in quarantena tra le quattro mura di casa, potevo solo invidiare una simile libertà.

In piena notte, quando dall’altra parte dell’oceano il sole doveva essere al tramonto, ecco che ho sentito il telefono vibrare. Ho aperto whatsapp e c’era una foto. Spiderman, Iris e un altro uomo che non conoscevo. In posa, davanti a una cattedrale in stile barocco, spagnoleggiante.
“Hola hermano” recitava il messaggio. “Abrazos desde la Habana!”

Cuba? Cosa cazzo ci faceva a Cuba?
Gli ho subito mandato un messaggio.
“Ti spiegherò” la risposta.

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