Coronavirus e immunità di gregge: perché “lasciare infettare tutti” non è una buona idea

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-03-15

Esponendo il 60% della popolazione britannica al virus con una mortalità del 2% vorrebbe dire che su un milione di persone ci saranno 20mila morti; su 10 milioni, 200 mila morti

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Per «herd immunity», in italiano «immunità di gregge», si intende il principio secondo cui la catena dell’infezione può essere interrotta quando un grande numero di cittadini è immune a una malattia. Nel caso del coronavirus SARS-COV-2 e della malattia COVID-19 l’idea è che un numero sufficiente di persone dovrà contrarre il virus e guarire. Come abbiamo spiegato, la strada scelta (finora, e solo a parole) dal Regno Unito è in realtà la distorsione di un concetto sanitario pensato per schermare la popolazione. Poi c’è anche da dire che non si capisce perché dopo aver fatto la Brexit promettendo fondi per la sanità l’UK non si sia invece ancora attivata nella direzione migliore (forse perché era una fregnaccia?). In ogni caso, spiega oggi Paolo Bonanni, professore di Igiene presso il Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Firenze, al Corriere della Sera, l’immunità di gregge si raggiunge in presenza di un vacino che consente di immunizzare il maggior numero di persone.

«La copertura vaccinale deve essere alta dovunque e se i virus con cui abbiamo a che fare (come il coronavirus) vengono dal mondo animale, la completa eliminazione è pressoché impossibile. Il vaiolo era un virus solo umano. Anche la poliomielite lo è, infatti è stata quasi totalmente debellata».

Puntare su un’immunità di gregge «spontanea» è rischioso?
«Significherebbe lasciare circolare il virus senza misure di contenimento e avere un carico di morti intollerabile, per non parlare della situazione degli ospedali. Noi tuteliamo prima di tutto la vita umana con le armi a disposizione e per ora abbiamo solo l’isolamento e il distanziamento sociale. Con un virus di tipo nuovo entrano in gioco anche variabili sconosciute: non sappiamo se l’immunità sarà permanente e, anche se lo fosse, dovremmo valutare se il patogeno muti, come fa l’influenza».

Quante persone dovrebbero ammalarsi (o meglio, vaccinarsi) per arrivare all’immunità di gregge?
«Il numero dipende dagli agenti patogeni e dal loro “valore di R0″, la contagiosità o “tasso di riproduzione”, cioè quante persone ogni infetto è in grado di contagiare. Con il morbillo, che ha un Ro di circa 15, bisogna raggiungere coperture altissime perché bastano poche persone per continuare la trasmissione».

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I tre approcci al Coronavirus (Corriere della Sera, 15 marzo 2020)

E con il coronavirus?
«Bisogna che Ro sia inferiore a 1, proprio perché questa soglia significa che una persona ne contagia meno di una e il virus si estingue. Nel caso del coronavirus, ponendo un Ro di 3 la formula (1-1/ Ro) porta ai due terzi della popolazione, il 66 per cento».

R0 o Erreconzero è la contagiosità, o tasso di riproduzione. Per il coronavirus è stato calcolato essere tra il 2,3 e il 3: significa che ogni persona positiva in media ne può infettare da due a tre. Alberto Mantovani, 71 anni, immunologo di fama internazionale, dice esplicitamente che la scelta è irresponsabile:

«Ho un legame molto forte con la Gran Bretagna dove ho una cattedra e dove mio figlio vive con la sua famiglia. È socialmente difficile accettare di avere vittime in famiglia, ma fa parte del loro modo di affrontare le sfide più difficili. Fatta questa premessa sono sinceramente preoccupato da questa scelta e la trovo irresponsabile».

È davvero possibile raggiungere l’immunità lasciando correre il virus?
«Non amo molto il termine immunità di gregge, preferisco parlare di immunità di comunità, dove è insito il concetto di solidarietà. Non ritengo sia pensabile costruire l’immunità della comunità lasciando correre il virus, è da incoscienti. Bisogna ragionare sul prezzo di una immunità della comunità ottenuta non con un vaccino, ma esponendo come è stato detto, il 60% della popolazione britannica al virus. Ammettiamo, in modo forse ottimistico, una mortalità del 2%. Su un milione di persone vuol dire 20mila morti; su 10 milioni, 200 mila morti. Ma facciamo un conto ancora più drammatico. Il 10% dei malati ha bisogno di terapia intensiva e respirazione assistita: su un milione di persone servirà a 100 mila pazienti. Nessun sistema sanitario al mondo è in grado di far fronte a un’emergenza del genere. Ci sarebbero troppe vittime e troppi pazienti non potrebbero essere curati».

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