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«Il Coronavirus circola a Codogno almeno da metà gennaio»

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-02-28

Per questo nelle ultime ore viene retrodatata la «diffusione silente» del contagio nel Lodigiano e chi cerca la verità sull’epidemia in Italia tende a concludere che il «paziente uno», stabile e ancora intubato al San Matteo di Pavia, possa non essere tale

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Giampaolo Visetti su Repubblica racconta oggi di un’ipotesi di lavoro degli investigatori del Coronavirus che cercano il paziente zero nel lodigiano: ovvero che il focolaio italiano partito da Codogno covasse sotto la cenere «almeno dalla metà di gennaio».

Da questa conclusione si trova «ormai a un passo» la task force di epidemiologi, ricercatori, forze dell’ordine e inquirenti al lavoro a Milano e dentro la zona rossa del contagio. Grazie alla genetica, poche conferme separano ormai gli scienziati anche dalla ricostruzione del nesso tra «il principale epicentro dell’epidemia», individuato tra i dieci Comuni isolati nel Basso Lodigiano, e quello definito «secondario» di Vo’, nel Padovano.

A una settimana dalla prima diagnosi nell’ospedale di Codogno, l’individuazione del «paziente zero» resta incerta. A vacillare però è in particolare, secondo chi segue il dossier, anche l’ipotesi che il dipendente dell’Unilever di Casalpusterlengo sia il «paziente uno». L’uomo, 38 anni di Castiglione, ha diffuso il Covid-19 nell’ospedale del primo ricovero a Codogno e tra coloro che ha frequentato per giorni una volta infetto, al lavoro a facendo sport. La caccia a chi ha involontariamente trasformato l’area ora sigillata in Lombardia in una sorta di «Wuhan italiana», dilagata poi nel resto della regione, nelle zone confinanti dell’Emilia e del Nord Italia, ha registrato una svolta grazie a medici, operatori delle case di riposo e farmacisti dei centri dove si concentra l’origine di oltre il 90% dei casi di positività.

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Il paziente 1 in Lombardia (La Repubblica, 22 febbraio 2020)

Sotto la lente ci sono molti dati, tra cui uno: nel Basso Lodigiano già in gennaio c’era però un boom, non inosservato, di influenze e polmoniti.  La maggioranza è guarita, ma nel sangue sono rimaste le tracce degli anticorpi contro il Covid-19. Dopo l’isolamento del «ceppo lombardo» del coronavirus a Milano, queste vengono ora incrociate geneticamente tra loro.

In laboratorio, anche a Roma e a Pavia, prende così forma una rete sempre più precisa di relazioni personali anche non dichiarate, o che gli stessi contagiati non ricordano. «Tra giovedì 20 e lunedì 24 febbraio — spiega uno dei ricercatori — siamo improvvisamente passati da zero a oltre 200 casi di coronavirus tra 50 mila persone di un unico territorio. Effetto di tamponi fatti a tappeto, ma una simile accelerazione non ha precedenti nemmeno in Cina e non trova riscontri nei tempi d’incubazione del Covid-19».

Per questo nelle ultime ore viene retrodatata la «diffusione silente» del contagio nel Lodigiano e chi cerca la verità sull’epidemia in Italia tende a concludere che il «paziente uno», stabile e ancora intubato al San Matteo di Pavia, possa non essere tale. Soltanto «con più infetti inconsapevoli in circolazione per parecchi giorni» si spiegano «diffusione, velocità e trasversalità» del contagio infine scoperto giovedì 20 nell’attuale «zona rossa». Area che, pur con crescenti deroghe per consentire una ripresa parziale di aziende e servizi, potrebbe vedere prolungato l’isolamento. All’inizio la cintura sanitaria, presidiata dai posti di blocco, era fissata fino al 4 marzo. Da ieri le autorità temono di doverla prorogare «come minimo fino a metà mese». Più probabile «almeno fino a fine marzo».

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