Come Papa Francesco ha fatto arrestare l'arcivescovo pedofilo

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2014-09-24

Il cambio di strategia in Vaticano alla base del provvedimento contro Josef Wesolowski. La Santa Sede aveva rifiutato l’estradizione in Polonia per il prete accusato di abusi sessuali su bambini sia nella Repubblica Domenicana che in patria

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Qualcosa è cambiato. La vicenda di Josef Wesolowski, per come è stata raccontata, fino a qualche tempo fa sembrava che dovesse seguire il destino di tanti preti e vescovi accusati di pedofilia e protetti in qualche modo dal Vaticano. Il precipitoso ritorno dalla Repubblica Dominicana dopo l’intervista al bambino che aveva rivelato le attenzioni del nunzio nei suoi confronti, con tanto di dimissioni, sembrava il prodromo di un finale scontato. Anche quando nel settembre scorso la Polonia aveva cominciato a prepararsi a chiedere l’estradizione di Wesolowski, ricevendo un netto diniego da Roma, sembrava che andasse tutto secondo copione. Poi il colpo di scena di ieri. Che presuppone un cambio di strategia del Vaticano nei confronti dei preti che vengono accusati o condannati per questo tipo di reati. Una strategia voluta da Papa Francesco, di completa rottura rispetto alla tradizione, da Wojtyla a Ratzinger.
 
JOSEF WESOLOWSKI: COME PAPA FRANCESCO HA FATTO ARRESTARE IL PRETE

Racconta il Corriere della Sera che Wesolowski doveva affrontare un doppio processo, canonico e penale. La Congregazione per la dottrina della fede lo ha condannato alla dimissione dallo stato clericale, una decisione su cui pende appello. Il processo penale deve ancora iniziare.

Ma ieri il promotore di giustizia del Tribunale vaticano, e cioè il «pm» della Santa Sede che aveva avviato il procedimento penale «per gravi fatti di abuso a danni di minori», ha convocato il nunzio e «gli ha notificato i capi di imputazione», come si legge nella nota secca che padre Federico Lombardi ha diffuso ieri sera: «La gravità degli addebiti ha indotto l’Ufficio inquirente a disporre un provvedimento restrittivo che, alla luce della situazione sanitaria dell’imputato,comprovata dall adocumentazione medica, consisten egli arresti domiciliari,con le correlate limitazioni, inlocali all’interno dello Statodella Città del Vaticano». Il chesignifica che Wesolowski non sta in cella, ma neppure a casa sua, visto che non ha case in Vaticano: i gendarmi vaticani lo hanno lasciato nelle stanze del Collegio dei Penitenzieri,interno al palazzo del tribunale,sorvegliato per evitare che fugga oltre le Mura.

La svolta e avvenuta grazie al «motu proprio»con il quale Francesco, l’11 luglio dell’anno scorso, ha inaspritole pene contro la pedofilia e reso processabili anche i diplomatici della Santa Sede.La frase conclusiva di padre Lombardi la dice lunga: «L’iniziativa assunta dagli organigiudiziari dello Stato è conseguente alla volontà espressa del Papa, affinché un caso così grave e delicato venga affrontato senza ritardi, con il giusto e necessario rigore, con assunzione piena di responsabilità da parte delle istituzioni che fanno capo alla Santa Sede». Repubblica invece racconta il ruolo dei gesuiti nella decisione:

La Commissione, non a caso, lavora anche grazie all’impegno dei padri Humberto Miguel Yáñez e padre Hans Zollner,quest’ultimo responsabile del Centro per la protezione dell’infanzia dell’Università Gregoriana: «Il Papa — ha detto padre Zollner dopo aver incontrato Francesco nel giugno del 2013 — ha sottolineato che il lavoro del nostro Centro è un importante e che “dobbiamo andare avanti con questo impegno”». Ma i gesuiti lo aiutanoanche all’interno degli organismivaticani: è il padre statunitenseRobert J. Geisinger, canonista,il nuovo “promotore digiustizia” vaticano presso lacongregazione per la Dottrinadella fede, una sorta di “procuratoregenerale” della SantaSede sulla pedofilia e gli altri“crimini graviora” del dirittocanonico

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Jozef Wesolowski: l’arcivescovo arrestato in Vaticano per pedofilia

 
L’INCHIESTA DELLA GIORNALISTA
Il Fatto invece racconta che Wesolowski era finito in un’inchiesta di una giornalista di Santo Domingo, Nuria Peria, la quale aveva parlato delle sue strane abitudini, tra bagordi nei ristoranti e bevute al bar, fino a quando il Vaticano non gli aveva imposto di lasciare Santo Domingo:

Il Fatto aveva contattato l’autrice dello scoop,che si diceva certa che il Vaticano non avesse fatto il possibile per prevenire gli abusi: anzi lo avrebbe coperto dandogli la possibilità di lasciare Santo Domingo,dove era in rappresentanza diplomatica della Santa Sede. Ed è proprio durante quegli anni, che avrebbe abusato di minori. Contattata il 28 giugno, Nuria Peria ha raccontato che la sua inchiesta era partita oltre un anno fa, quando aveva ricevuto la segnalazione del proprietario di un ristorante nella zona Malecon,lungo il litorale, frequentato spesso dall’arcivescovo. “Inun primo momento non sapevanochi fosse e lo vedevano solocome uno straniero degenerato.Finché un giorno l’hanno riconosciuto su un giornale e hanno capito di chi si trattasse. Per le nostre ricerche ci sono voluti molti mesi, finché non siamo rimasti sorpresi dall’annuncio che aveva lasciato il Paese perché aveva cessato di ricoprire la carica. Un tentativo di nascondere la vera ragione del trasferimento”.Per la sua inchiesta,Nunia Peria ha seguito Josef Wesolowski, oltre che “intervistare uno dei bambini. Così il mondo intero ha saputo la ragione della sua partenza”.

E Papa Francesco, non insensibile a questo tema, ha tolto la libertà all’arcivescovo pedofilo.

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