L’incontro tra Liliana Segre e Chiara Ferragni non è solo giusto, è anche necessario

di Lorenzo Tosa

Pubblicato il 2022-06-10

Liliana Segre ha capito ciò che nove decimi della politica ignora: che va fatta qualunque cosa per salvare la memoria dell’Olocausto, a costo di cambiare la narrazione di rito, di rinnovare il messaggio, se quel messaggio non arriva più o non arriva a tutti

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Nelle ultime 24 ore ho letto, tra i tanti applausi, anche un certo numero di critiche e commenti acidi sull’incontro tra Chiara Ferragni e Liliana Segre.
C’è chi si indigna perché “come ci siamo ridotti?”, “Gesù, dove andremo a finire?” C’è la destra-destra, che attacca Liliana Segre perché non hanno ancora fatto i conti col fascismo e Chiara Ferragni semplicemente perché esiste. Ma c’e anche chi, a sinistra, si costerna perché “la sinistra si esalta per Chiara Ferragni” e perché, “suvvia, davvero vogliamo affidare la memoria dell’Olocausto a una fashion blogger?” E siccome queste ultime, a differenza degli altri, sono persone che stimo, voglio provare a dare una risposta, perché il tema è cruciale e perché capire questo passaggio oggi è fondamentale.

L’incontro tra Liliana Segre e Chiara Ferragni non è solo prezioso, è anche necessario

No, nessuno si esalta per una foto tra Chiara Ferragni e Liliana Segre. Non è esaltazione il sentimento che attraversa un cittadino qualunque di fronte a una foto del genere ma fiducia, speranza che un tema che negli ultimi tre lustri (e negli ultimi tre anni in modo più consistente) è stato sistematicamente sminuito, sporcato, deviato, addirittura cancellato dalla memoria collettiva di questo Paese, possa, grazie a questo binomio irrituale e coraggioso, pop nel senso letterale del termine, arrivare a un pubblico vasto e giovanile che, fino ad oggi, per varie ragioni è rimasto totalmente ai margini del dibattito. Un’assenza che, oggi, non ci possiamo più permettere.

Quando leggo che Liliana Segre avrebbe “affidato la memoria dell’Olocausto a una fashion blogger?”, vedo un bello slogan, che funziona, fa presa. Ma, se vai a fondo, è una semplificazione ancora peggiore di quella che si contesta. Perché non è questo che ha fatto Liliana Segre: non gliel’ha affidata, termine che evoca l’idea di scaricare una responsabilità. Al contrario, la sta condividendo con lei. Gliela sta trasmettendo, in qualche modo insegnando, senza mai farsi da parte.
A oltre 90 anni, la senatrice Segre ha compreso con una lucidità che manca a nove decimi della classe politica oggi, che siamo di fronte a un rischio concreto di eradicazione della memoria del più grande orrore nella Storia dell’Umanità e che va fatta qualunque cosa, qualunque, per evitarlo, a costo di cambiare la narrazione di rito, a costo di rinnovare il messaggio, se quel messaggio non arriva più o non arriva a tutti.

L’intuizione di Liliana Segre è aver capito che non conta il mezzo ma il fine

Segre non ha invitato la fashion blogger (che è il suo lavoro), ha invitato una donna che oggi ha più influenza dell’intero Parlamento italiano messo insieme e che ha dimostrato di avere la capacità, la voglia, la sensibilità (pur nei limiti di chi fa altro nella vita) di mettere quell’influenza al servizio di una causa giusta. Che non è di destra o di sinistra. La memoria dovrebbe essere di tutti, nessuno escluso. Il fatto che sia rimasta la sola (o quasi) sinistra a parlare di questi temi è un problema enorme, ma è un problema che riguarda la destra o quella mefitica mescolanza di sovranismo, populismo, oscurantismo e neofascismo che, per qualche strana ragione, continuiamo a chiamare con questo nome.

In quella foto l’eccezionalità, la rottura, l’anomalia, non è rappresentata da Chiara Ferragni ma da quella donna straordinaria di 92 anni seduta al suo fianco, che dopo aver testimoniato per oltre tre decenni l’Olocausto nelle scuole, fa un passo di lato e, senza inutili snobismi, senza tartufismi di sorta, sapendo anche di esporsi alle critiche gratuite, fa di tutto perché quello che ha vissuto sulla sua pelle in quei 16 mesi non sia dimenticato. L’unica cosa che conta. In ogni modo e a qualunque costo, prima che sia troppo tardi. E questo non mi esalta, al massimo mi fa riflettere, e, in fondo, lasciatemelo dire, un po’ mi emoziona.

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