Chernobyl: cosa è successo davvero 30 anni fa e di chi era la colpa

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-07-09

La serie evento di HBO, trasmessa in Italia da Sky, ha scatenato numerose polemiche. Le accuse si concentrano non tanto sul rispetto della verità degli eventi quanto su una rappresentazione troppo caricaturale della realtà sovietica del tempo. Al punto che c’è chi accusa la miniserie di fare propaganda antisovietica

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La miniserie di HBO (trasmessa in Italia da Sky) Chernobyl è la serie televisiva dell’anno. Cinque episodi di un’ora che calano lo spettatore nel più grande disastro nucleare della storia, quello iniziato alle 1:23 del mattino del 26 aprile 1986 nella centrale nucleare Vladimir Il’ič Lenin di Černobyl. Un incidente che ha profondamente segnato le vite delle migliaia di persone che hanno partecipato alle operazioni di spegnimento dell’incendio (prima) e di messa in sicurezza dell’impianto in seguito.

La verità dei fatti e le licenze poetiche della serie

Non è chiaro quante persone siano morte a causa dell’esplosione del reattore numero quattro. Né tra i cosiddetti “liquidatori” e il resto del personale che è intervenuto sulla scena né tra la popolazione civile. Non solo quella che viveva nella zona di esclusione ma anche nel resto dell’Ucraina. Ma non è di questo che si occupa Chernobyl che si concentra sulle ore, i giorni e i mesi successivi al disastro e sui disperati tentativi di spegnere l’incendio ed evitare una catastrofe nucleare di dimensioni inimmaginabili. Non essendo un documentario la serie si concede qualche licenza poetica. Ad esempio come spiegato nei titoli di coda dell’ultima puntata il personaggio interpretato da Emily Watson – la scienziata sovietica che non si arrende di fronte al muro di gomma costruito dalle autorità – non è realmente esistito ma rappresenta “la scienza” e tutti gli scienziati che hanno lavorato per mettere in sicurezza quello che restava del reattore. Anche le spire di fumo nero che si levano dal reattore non rappresentano quanto realmente visto dal personale che ha provveduto a spegnere l’incendio. Nella serie ai liquidatori è ordinato di lavorare per non più di 90 secondi, nella realtà i tempi erano intorno ai 120 secondi, tre volte tanto il massimo consentito con quei livelli di radiazioni.  Sembra essere frutto di una finzione narrativa invece l’ordine di “tagliare” le linee del telefono per isolare l’abitato di Pripyat.

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Jared Harris nei panni di Valerij Alekseevič Legasov nella serie di HBO

Ma al di là delle limitazioni della sceneggiatura riguardo l’accuratezza dei fatti quello che ha maggiormente colpito è un certo modo di rappresentare i protagonisti come delle macchiette, delle caricature di quello che oltre la Cortina di Ferro si pensava fossero i cittadini dell’Unione Sovietica. Che l’incidente sia stato causato da dei difetti di progettazione non lo dice il telefilm ma un rapporto della AIEA (anche se il primo aveva puntato il dito contro l’errore umano). Il punto è che Chernobyl tende a fare di quel difetto di progettazione una regola generale di tutta l’Unione Sovietica, progettata male, costruita su bugie e menzogne e per questo destinata a fallire. Ed è per questo che – soprattutto in Russia – la serie è accusata di fare propaganda anti-sovietica. Non è del resto l’unico caso: la terza stagione di Stranger Things (Netflix) gira tutta attorno ad un piano dei soliti russi malvagi infiltrati nel cuore dell’Indiana. Ma almeno la serie dei fratelli Duffer ha la scusa di voler riprodurre il clima culturale e gli stereotipi degli Anni Ottanta reaganiani.

La “lezione” di Chernobyl: i russi mentono

Ma di “difetti di progettazione” ce ne sono anche nelle cosiddette democrazie liberali. L’incidente alla centrale nucleare di Three Mile Island negli Stati Uniti del 1979 (dove il meltdown parziale fu causato dall’incapacità degli operatori di determinare lo stato di apertura di una valvola a causa di un errore di progettazione della stessa) e quello di Fukushima (dove i dirigenti della TEPCO ignorarono gli studi sull’impatto di onde anomale) non hanno certo messo in moto una critica feroce al sistema capitalistico. Nel finale dell’ultima puntata Lagasov spiega in tribunale che il reattore di Černobyl è stato costruito così perché “costava meno”, lasciando intendere che in Unione Sovietica si andasse al risparmio. Ma questa è anche l’essenza stessa del capitalismo dove si cerca di massimizzare i profitti minimizzando al massimo i costi. Anche a rischio di mettere a repentaglio la sicurezza.

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La centrale di Chernobyl oggi, con il nuovo sarcofago

C’è poi quel continuo ripetersi di minacce di esecuzioni sommarie per chi non aderiva alla narrazione governativa (vuoi del direttore della centrale o di qualche membro del partito) che non riflette per nulla la situazione sovietica degli Anni Ottanta. È l’immagine che abbiamo della Russia di Stalin, quella degli anni Trenta. Ma erano passati oltre cinquant’anni e anche l’URSS era cambiata, e stava cambiando. È da un certo punto di vista comprensibile che in Russia la serie non sia stata accolta bene. L’unico personaggio davvero positivo è una scienziata donna che non è mai esistita e che lotta contro il KGB e i vari apparatchik che tentano di nascondere la verità. La reazione russa ha anche dei risvolti involontariamente comici, come quello della rete televisiva NTV che vorrebbe produrre una versione “corretta” della storia del disastro di Černobyl che comprenda anche un oscuro piano della CIA. Un ex operatore della centrale ha raccontato che i “cattivi” del film (su tutti il personaggio Anatoly Dyatlov) non corrispondono affatto nella rappresentazione troppo manichea a come erano nella realtà. Non tutti però nell’ex URSS hanno questa visione. Il premio Nobel bielorusso Svetlana Alexievich, che ha scritto il libro Voci da Chernobyl, ad esempio ha lodato lo show di HBO. Innegabilmente Černobyl è una ferita ancora aperta in Russia – perché mette in dubbio la potenza e le capacità tecniche dell’Unione Sovietica – e soprattutto in Ucraina anche se in questi anni molte persone sono tornate, quasi di nascosto, ad abitare e vivere nella zona.

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