La seconda lettera di Gian Carlo Caselli contro Sabina Guzzanti

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2014-09-09

Oggi tocca al Corriere della Sera raccogliere lo sfogo del procuratore di Torino contro il film sulla trattativa e su come dipinge la vicenda del covo di Riina non perquisito dopo la cattura del numero uno della mafia

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Gian Carlo Caselli continua a scrivere contro Sabina Guzzanti. Dopo la lettera di domenica al Fatto, Caselli oggi ha scritto a Pierluigi Battista, che aveva preso spunto dalla sua missiva ieri per un pezzo sul Corriere della Sera:

Caro direttore,
ho letto con interesse l’articolo di Pierluigi Battista sul Corriere dell’8 settembre, che prende spunto dauna mia lettera al Fatto riguardante il film «La trattativa» di Sabina Guzzanti, oggetto anche di una intervista alla Festa del Fatto. Battista coglie bene lamia «indignazione» e ne spiega le ragioni riproducendo in parte la lettera. L’avevo conclusa motivandola come scritta «per rispetto alla verità, alla mia famiglia e a tutti coloro che a vario titolo (magistratura , amministrazione, polizia giudiziaria,cittadini)» hanno lavorato con me per sette anni a Palermo. Invero, a mio avviso la questione principaledel film è, come annota Battista, «il rischio di veder appiattita e misconosciuta tutta la attività di contrasto alla mafia» mia e dei miei collaboratori(polizia giudiziaria in primis). Per contro, in una Palermo sconvolta dalle feroci ed orribili stragi delmaggio/luglio 1992, tutti — facendo «squadra» — cihan dato dentro impegnandosi sempre al massimo.Di qui i duri «colpi inferti alla mafia» di cui Battistaricorda l’elenco che «con meticolosa completezza» ho fatto nella lettera.
«Colpi» che mi consentono dirivendicare — serenamente — di aver contribuito(tutti insieme) a che la democrazia italiana non si trasformasse in uno stato-mafia o narco-stato,precipitando nel baratro senza fondo un cui volevanocacciarla i mafiosi stragisti. Partendo da unasituazione che Caponnetto aveva fotografato con leparole «È tutto finito; non c’è più niente da fare»,siamo riusciti a risalire la china, rendendo unservizio al Paese. Certo la mafia non è statadefinitivamente sconfitta, ma neppure ci ha travolti.Ecco perché mi sembra legittimo pretendere non giàdi essere pensati… col tricolore indosso (cimancherebbe!), ma almeno per quel che abbiamodavvero fatto, senza dileggi gratuiti.
L’unico punto sucui dissento da Battista è dove egli dice che «Caselli credeva forse che nel mondo del Fatto la reputazione sua e degli uffici giudiziari palermitani da lui diretti per quasi sette anni sarebbe stata difesa». Penso anziche questa difesa vi sia nella sostanza sempre stata,anche grazie allo spazio che spesso il Fatto mi offre. Edevo darne atto, come voglio dare atto al Corriere diessere sempre stato sensibile e assai preciso nellatrattazione dei temi del contrasto alla mafia, oltre chedisponibile a miei eventuali interventi, come inquesto caso.

 

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Gian Carlo Caselli (foto da: Wikipedia)

La lettera del 7 settembre sul Fatto:

Gentile Direttore: vi sono alcune considerazioni, a margine del film La trattativa di Sabina Guzzanti, presentato a Venezia e ieri alla festa del Fatto, che ritengo necessario fare. Dopo le stragi mafiose del 1992 ho chiesto – per dovere e spirito di servizio – di essere trasferito dalla “comoda” Torino a Palermo, ancora insanguinata e sconvolta dall’assassinio di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e di quanti erano con loro a Capaci e in via D’Amelio. E’ cominciata così una difficile e rischiosa esperienza di quasi 7 anni a capo della travagliata Procura di quella città.
Raccontare con tecnica da “cabaret” la pagina grave e oscura della mancata sorveglianza (certamente non addebitabile alla Procura) e della conseguente mancata perquisizione del “covo” di Riina è offensivo e non può cancellare né far dimenticare gli importanti positivi risultati ottenuti in quei 7 anni di duro e pericoloso lavoro dagli Uffici giudiziari palermitani, in stretta e preziosa collaborazione con le forze di Polizia. Un mare di arresti, pentimenti, processi e condanne (650 ergastoli!); sequestri di arsenali di armi micidiali e di patrimoni illeciti (per 10 mila miliardi di vecchie lire); processi anche a imputati “eccellenti” collusi con la mafia (Contrada , Andreotti e Dell’Utri fra gli altri): questa la sintesi del bilancio di 7 anni, cui deve aggiungersi l’acquisizione della prima e decisiva confessione di uno degli autori materiali della strage di Capaci, Santino Di Matteo, resa – su sua richiesta – proprio al sottoscritto.
Questi risultati – ottenuti superando difficoltà e ostacoli a volte incredibili – hanno contribuito fortemente a salvare la democrazia italiana dal tracollo che le stragi mafiose volevano e sembravano aver reso inevitabile (“E’ tutto finito; non c’è più niente da fare”: sono le parole di Nino Caponnetto al funerale di Borsellino che nessuno può scordare…). Non tenere conto anche di questo incontestabile dato di fatto, limitandosi a un piglio di dileggio gratuito, equivale a rendere un pessimo servizio alla rigorosa e completa ricostruzione di quanto realmente accaduto che l’autrice del film ritiene essere rigorosa e completa. Grazie per avermi ospitato, consentendomi di scrivere parole semplici ma dovute: per rispetto alla verità, alla mia famiglia e a tutti coloro che a vario titolo (magistratura, amministrazione, polizia giudiziaria, cittadini) hanno fatto con me, condividendo tanti sacrifici, un pezzo di strada che, senza falsa modestia, possiamo rivendicare con orgoglio.

Il trailer del film da Youtube:

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