Economia

Brexit: il governo UK non sa ancora cosa significa

Giovanni Drogo 16/08/2016

La strada per l’uscita dall’Europa è lastricata di buone intenzioni ma a quanto pare i ministri dell’esecutivo May non hanno la minima idea di cosa fare. E così mentre Liam Fox fa lo sgambetto a Boris Johnson a farne le spese sono i cittadini britannici (e anche quelli europei)

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La domanda da un milione di sterline è sempre quella: quando sarà attivato l’articolo 50 del Trattato di Lisbona? Quando si farà la Brexit? Nelle scorse settimane la Primo Ministro Theresa May ha fatto sapere che l’argomento non verrà discusso prima della fine dell’anno. Ed è comprensibile, prima la May vuole incontrare i futuri ex-partner europei per capire quali saranno gli spazi di manovra per l’uscita dall’Unione Europea e per questo si è già recata in visita a Parigi, Berlino e Roma. Nel frattempo però il Governo britannico non ha ancora le idee chiare sul come e forse nemmeno sul chi dovrà condurre le trattative.

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Boris Johnson e Liam Fox sono già ai ferri corti

Liam Fox fa la guerra a Boris Johnson

Dovrebbe essere infatti Liam Fox – il Secretary of State for International Trade – il ministro incaricato di guidare i delicati negoziati per l’accesso della Grand Bretagna al mercato unico europeo. Perché se c’è qualcosa di certo è che il Regno Unito vuole (e deve) negoziare un accordo con la UE per poter aver accesso ai mercati dei paesi dell’Unione. Il condizionale è d’obbligo perché a quanto pare Fox è impegnato in una lotta tutta interna al Governo con Boris Johnson, il Ministro degli Esteri. In una lettera pubblicata dal Telegraph Fox chiede che alcuni ufficiali diplomatici in forza al ministero dell’ex sindaco di Londra vengano trasferiti al suo ufficio. Una richiesta che ha anche lo scopo di depotenziare il ministero di Johnson. Last but not least c’è il ruolo di David Davis nominato Brexit Secretary che dovrebbe anche lui avere voce in capitolo. Anche Davies vuole poter scegliere il personale più adatto per il suo ministero, e lo vuole scegliere tra coloro in forza Whitehall, ovvero il ministero di Johnson. Il quale naturalmente non è affatto contento e ha rifiutato di prendere in considerazione le richieste, anche perché il Foreign Office – ha spiegato Fox nella lettera – dovrà occuparsi solo di sicurezza e affari diplomatici “generici”.
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Gli accordi commerciali con la UE

Ma il ruolo di Liam Fox non sembra essere un problema solo per Johnson. L’ex ministro della difesa, fatto dimettere perché aveva invitato il suo amico (e lobbista) Adam Werritty a partecipare come consulente ad alcune missioni senza che Werrity avesse un ruolo ufficiale, ha già commesso un clamoroso errore. In un comunicato stampa cancellato in tutta fretta (ma reperibile qui) il Ministero spiegava quello che potrebbe accadere prima e dopo la Brexit. In particolare in un paragrafo il comunicato stampa annunciava che fino a che non verrà negoziato un nuovo accordo con l’Unione gli accordi commerciali verranno regolamentati secondo le disposizione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

If the UK does exit the European Single Market, it will be governed by World Trade Organization (WTO) rules until any new trade deals are negotiated. We’ll remain a competitive player on the global stage because all major economies and most minor ones are members of the WTO. The WTO requires each member to charge the others the same tariffs and grant them ‘most favoured nation’ market access.

Come fa notare il deputato laburista Chuka Umunna negoziare un accordo commerciale con la UE secondo le regole del WTO comporterebbe un costo troppo alto da pagare per l’economia britannica.


A quanto pare il ministero di Fox ha davvero bisogno di negoziatori esperti, o quanto meno di un chiaro indirizzo politico. Ma a quanto pare, sostengono i critici e l’opposizione, i leavers non avevano la benché minima idea di cosa avrebbe significato davvero uscire dalla UE. Forse è anche per questo motivo che la May sta prendendo tempo e non ha ancora reso nota una data certa per l’avvio delle procedure d’uscita. Nel frattempo però la sterlina continua a svalutarsi: è scesa del 14% sull’euro – il minimo rispetto a tre anni fa – e continua a scendere anche rispetto al dollaro (-12,5% da inizio d’anno). Una situazione che anche la Banca d’Inghilterra ha in qualche modo scelto di “avallare” ma sulla quale nel post-referendum hanno scommesso anche diversi hedge fund.

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Il crollo della sterlina

Crescita lenta e aumento dell’inflazione

Da uno studio pubblicato dal think tank Resolution Foundation emerge come i modesti benefici della Brexit come ad esempio l’esiguo aumento dei salari (+0,2% entro il 2018) per gli impieghi a bassa specializzazione ottenuti dal taglio all’immigrazione verranno superati dalle conseguenze negative dell’uscita dalla UE.


Aumento dell’inflazione e lenta crescita economica rischiano infatti di spazzare via questi limitati benefici. Inoltre anche tagliare l’immigrazione netta “a poche decine di migliaia” dagli attuali 300mila arrivi come pare essere intenzione del Governo potrebbe creare più difficoltà che vantaggi per le imprese britanniche che rischierebbero inoltre di diventare ancora meno competitive
 

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