Economia
La crisi di Banca Carige
neXtQuotidiano 12/08/2018
La moria di esponenti del consiglio di amministrazione nasconde manovre per riprendere il controllo della banca da parte dei politici liguri. Ma la gestione Malacalza non è esente da colpe
L’ultimo ad andarsene in ordine di tempo è stato Massimo Pezzolo, avvocato ed ex consigliere del consiglio di amministrazione di Banca Carige: senza mandato esecutivo, appena nominato membro del comitato rischi ha deciso di salutare. Il settimo in pochi mesi per un CdA che è a un passo dalla decadenza (i membri in totale sono 14).
La crisi di Carige
La crisi di Carige non sembra avere soluzioni di continuità, anzi: ora manca un solo consigliere a dare le dimissioni. Sono due le linee interpretative di questa raffica di dimissioni innescata dall’addio del presidente Tesauro. Prima i consiglieri Lunardi e Balzani, poi quelle del maggior azionista e vicepresidente Vittorio Malacalza. Infine, con matematica cadenza, ogni due giorni se ne è andato qualcun altro: Queirolo, Venuti e infine Pezzolo. La prima linea di lettura potrebbe far pensare che, visto il momento tutt’altro che roseo e dopo aver assolto al compito di varare la semestrale, viga la legge del ‘si salvi chi può, tanto tra un mesetto – il 20 settembre – l’assemblea dei soci rinnoverà il cda’.
In più, il cda ha approvato anche la risposta alla Bce e quindi ha esaurito un compito gravoso e con un colpo di coda, già afflitto dal fuggi-fuggi, ha dato l’esclusiva a Bain Capital per gli Utp subordinandola però alla decisione del nuovo cda. La seconda interpretazione di questa emorragia di consiglieri potrebbe essere quella di una accurata strategia, una specie di ‘gioco di gambetto’ negli scacchi. Perdendo pedoni si guadagna spazio e tempo. Quindi amputando il cda e facendolo decadere, sempre ammesso che un altro consigliere si dimetta, si viene a neutralizzare qualsiasi capacità di azione sul mercato. Un’evenienza, quella della decadenza del cda, che era già stata chiaramente auspicata da Malacalza, che con la Malacalza Investimenti detiene il 20,6% del pacchetto azionario.
Il problema della Cassa di Risparmio di Genova
Il Sole 24 Ore spiega oggi che per comprendere appieno i fattori di rischio dell’istituto bisogna ricostruire il contesto economico e politico di quella che, a giudizio di un banchiere informato dei fatti, resta ormai nel Nord Italia «l’ultima banca della Prima Repubblica, un coacervo di affari, lobbies e politica». La banca, prima della fuga di liquidità del novembre 2017, contava su un milione di clienti in Liguria, Toscana, Piemonte, Veneto e Roma. All’epoca un totale di 1,5 miliardi di euro vennero ritirati dai conti correnti. Ora il problema sono gli impieghi, ovvero i crediti alla clientela che da anni sono in continua caduta: dai 25,4 miliardi del 2010 sono scesi ai 17,7 miliardi del 2017.
Le imprese più grandi o si finanziano sul mercato, se quotate, o ottengono credito a basso costo dalle grandi banche. A Carige resta lo small business e i crediti concessi negli anni dal vecchio padre padrone Giovanni Berneschi, condannato in Appello a 8 anni e sette mesi di pena, ai vari progetti di sviluppo immobiliare locale, spesso diventati Npl nei bilanci della banca, erogati per accontentare il mondo della politica locale.
Come il progetto del villaggio tecnologico degli Erzelli, caro all’ex presidente della Regione Pd Claudio Burlando, che per Carige si è tradotto in 250 milioni di Npl. O i crediti concessi per il progetto Marina Genova-Aeroporto, anch’essi finiti tra i crediti dubbi come documentato dai verbali ispettivi di Bankitalia.
La banca è sempre stata il comitato d’affari della politica prima democristiana e poi forzitaliota di stampo ligure, e secondo il quotidiano proprio quel groviglio di poteri intravede ora l’opportunità di rientrare in gioco, facendo da sponda a qualche azionista o pilotando la banca verso un’aggregazione amica.
La gestione Malacalza
Con la gestione Malacalza la situazione si è fatta ancora più difficile anche perché l’imprenditore ligure ha fatto sì la guerra ai grovigli, ma ha anche intrattenuto pessimi rapporti sia con la vigilanza bancaria che con gli amministratori, ex e in carica. In pochi anni, ricorda ancora il Sole, il “padrone” di Carige ha praticamente litigato con chiunque avesse ruoli di gestione, fino a Paolo Fiorentino, ex Banca di Roma e attuale a.d.
Se con ogni evidenza tra Fiorentino e Malacalza la rottura è totale, l’incerto futuro della banca è appeso all’esito dell’assemblea del 20 settembre per il rinnovo del cda dove, con ogni probabilità, si scontreranno la lista Malacalza e quella dell’inedito asse in via di formazione tra il finanziere Raffaele Mincione e il petroliere Gabriele Volpi. «Nelle banche si sono visti azionisti di migliore reputazione ma, data la situazione di Carige, inutile pensare che a Genova arrivi un Warren Buffett», è il commento di un banchiere d’affari che chiede l’anonimato.
Chiunque vinca la battaglia, non potrà dire: «abbiamo una banca». Ma sarà costretto a percorrere in fretta lo stretto sentiero indicato dalla Vigilanza Bce per il turnaround che, anche a causa dei mesi di scontro in cda, si è interrotto.
Intanto il 2 novembre sarà reso noto l’esito degli stress test e Carige è inevitabilmente tra le banche a rischio.