Autostrade e i viadotti a rischio crollo e deterioramento

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-11-28

La procura di Genova ha aperto un’inchiesta sui mancati interventi effettuati su cinque viadotti: Bisagno e Veilino (A12), Letimbro (A10), Fado e Pecetti (sull’A26, chiusi poi parzialmente riaperti con un bypass). Il reato ipotizzato è quello di “omissioni di lavori che provocano rovina”

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La procura di Genova ha aperto due nuovi filoni di inchiesta sulle condizioni dei viadotti dopo il caso dell’A26. I fascicoli – al momento a carico di ignoti – sono in mano al sostituto procuratore Walter Cotugno. E contengono precise contestazioni. La prima sui mancati interventi effettuati su cinque viadotti: Bisagno e Veilino (A12), Letimbro (A10), Fado e Pecetti (sull’A26, chiusi poi parzialmente riaperti con un bypass). Il reato ipotizzato è quello di “omissioni di lavori che provocano rovina”. A questa contestazione il pm è arrivato dopo l’analisi dei periti della Procura che nei vari sopralluoghi hanno evidenziato come gli stessi presentino «pericoli imminenti e gravi di rovina» con elevata corrosione del cemento. La Stampa spiega oggi che il secondo filone di indagine, invece, ipotizza il reato di falso e riguarda l’alterazione dei rapporti su altri quattro viadotti: Scrivia (A7 in prossimità di Busalla), Coppetta (A7 nei pressi di Serra Riccò), Ponticello ad Archi (A10 tra Voltri e Arenzano) e Bormida (A26 tra Ovada e Alessandria).

ponti a rischio crollo e deterioramento
I ponti a rischio crollo e i cinque ponti a rischio deterioramento (Il Secolo XIX, 28 novembre 2019)

Non è escluso che nelle prossime ore venga formalizzata anche l’accusa di rischio crollo come conseguenza del falso. I quattro ponti sa
ranno ora sorvegliati speciali dai periti della Procura che hanno in programma controlli per valutare il reale stato di degrado dei viadotti. Entrambi i fascicoli di indagine nelle prossime ore potrebbero arricchirsi coi nomi dei primi indagati.

In totale sono 28 (di cui venti in Liguria) i ponti al centro degli accertamenti e su cui si sospettano falsi o omissioni. La lista è stata inviata agli ispettori del Ministero delle Infrastrutture. Sono: Pecetti, Gargassa, Fado, Vagnina, Biscione Sud, Stura III e Gorsexio sull’A26; Sei Luci, Teiro, Costa, Ponticello ad Archi, Schiantapetto e Letimbro sull’A10, Veilino, Bisagno, Nervi, Sori, Recco (A12); Scrivia e Coppetta (A7); Bormida Nord, Carlo Alberto, Ferrato e Baudassina, ponte Monferrato (A26, tratto piemontese), Paolillo (A16), Moro e Foglia (A14).

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Le quattro inchieste di Genova sui ponti a rischio crollo e deterioramento (La Stampa, 28 novembre 2019)

Intanto Ettore Livini su Repubblica spiega che la strada maestra per la revoca della gestione ad Aspi è già stata messa nero su bianco — con tanto di tappe e pericoli — nel documento preparato dal gruppo di lavoro interistituzionale creato dal ministero dei Trasporti (Mit) per valutare l’opportunità della procedura. Un rapporto di 60 pagine che si chiude con il disco verde “tecnico” alla risoluzione del contratto ma suggerendo «una diversa soluzione come la rinegoziazione della convenzione» per ridurre il pericolo di salasso per le casse statali.

Il percorso per il divorzio — scrivono i tecnici — è lineare: inizia con un decreto del Mit in concerto con il ministero dell’economia che contesta le “gravi inadempienze” ad Aspi dandole 70 giorni per rispondere. Le tre lettere di richieste di spiegazioni già spedite tra agosto 2018 e aprile 2019 dal governo — sostengono ad Atlantia — non configurano un avvio ufficiale della procedura. I Benetton ricorrerebbero subito a Tar e Consiglio di Stato contestando la validità del provvedimento e pretendendo una sospensiva. Chiedendo in contemporanea i danni per il prevedibile abbassamento del rating e il maggior costo del debito di gruppo. In attesa di queste sentenze, i 3.255 chilometri di autostrade Aspi rimarrebbero affidati alla famiglia veneta. Il via libera in tribunale al ritiro delle concessioni comporterebbe il subentro dello Stato negli attivi e nei passivi del gruppo, ma il trasferimento effettivo del business dei caselli avverrebbe solo all’individuazione del nuovo gestore. Chi potrebbe essere? Una soluzione è l’Anas (società a capitale pubblico di ora integrata con Ferrovie dello Stato), anche se non è chiaro quanti dei 7mila dipendenti Aspi potrà assorbire, con i problemi sociali del caso. Un’altra è l’affidamento a un nuovo soggetto del settore.

Il ritiro delle concessioni scatenerebbe una battaglia legale “nucleare” che — come ammettono gli esperti del Mit — potrebbe comportare «effetti indesiderati sul bilancio dello Stato». In primis perché in ogni caso, c’è da pagare il “valore di subentro” ovvero una cifra che compensa gli investimenti già fatti per gli anni successivi da Aspi. Cifra che visto la scadenza lontana della concessione (il 2038) potrebbe essere molto elevata.

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