Economia
Così l'ATAC rischia di dover ridurre le corse della Metro A del 40% a settembre
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2016-08-09
Mancano i soldi per la manutenzione dei mezzi oggi fermi nei depositi. In particolare per i treni della metropolitana. Ma le banche hanno rifiutato di ridiscutere i finanziamenti. Intanto Rettighieri smentisce l’ipotesi dimissioni. Ma dietro le segnalazioni dei guasti c’è l’ipotesi boicottaggio
L’ATAC ha bisogno di 18 milioni di euro subito. Senza gli interventi sulla metro A già da settembre calerà la mannaia sulle corse, con riduzioni «fino al 40%» entro la fine dell’anno. Nelle ultime lettere spedite dai vertici della partecipata al Comune si accenna a una data preoccupantemente vicina: «il 15 agosto». Per tutta la giornata di ieri circa il 30% dei bus è rimasto nei box. Il problema sono i guasti. Sia veri sia presunti.
Così l’ATAC rischia di ridurre le corse in metro A del 40%
Ma c’è un problema: quei fondi non sono stati stanziati nell’assestamento di bilancio. L’ATAC ha provato a chiederli alle banche, che hanno risposto picche. Così come hanno detto di no all’ipotesi di ridiscussione del debito della municipalizzata chiesta dall’assessore al bilancio Marcello Minenna. Quindi adesso il rischio è che dopo il voto per il bilancio sia costretto a varare una nuova manovra per ripescare i 18 milioni per l’assistenza urgente ai mezzi, una piccola tranche dei 58 previsti dal piano industriale. Altrimenti ATAC sarà costretta a tagliare le corse della metro fino al 40%. E nel carteggio tra Comune ed ATAC c’è anche un’altra data: il 16 agosto. Spiega oggi il Messaggero:
Perché Ferragosto è così importante? Perché per rimettere in sesto la linea A (e i suoi treni ormai deteriorati)serve tempo. Almeno un mese di lavori. Quindi se i cantieri non partiranno entro la metà del mese, è praticamente impossibile evitare la riduzione delle corse a metà settembre. Vadettoche questadisperata corsa contro il tempo si sarebbe potuta evitare. I 58 milioni erano già stati stanziati dal Campidoglio tanto che i lavori avrebbero dovuto partire a giugno. Poi però, causa elezioni, i finanziamenti sono stati congelati. Avrebbero potuto essere re-inseriti nella manovra di assestamento approvata dal M5s a fine luglio.
Ma l’assessore Linda Meleo, ricercatrice di un’università telematica ingaggiata dalla giunta Raggi per gestire una delega pesantissima come quella dei Trasporti (e infatti subito affiancata, o «commissariata» come dice qualcuno, dal presidente della Commissione Mobilità, Enrico Stefano) ha insistito per chiedere ad Atac di rivolgersi alle banche e ottenere un nuovo prestito. Senza considerare, forse, che sui bilanci della partecipata già gravano 1,3 miliardi di debiti.E infatti gli istituti di credito hanno risposto picche, non concedendo all’azienda di spalmare fino al 2019 i debiti accumulati, come invece aveva caldeggiato una delibera del Campidoglio approvata lo scorso 3 agosto proprio su indicazione della Meleo.
Ecco perché oggi Minenna, punta di diamante della Giunta Raggi, potrebbe trovarsi costretto a varare una nuova manovra di assestamento. Ma anche per un tecnico di grandi capacità come lui potrebbe essere difficile trovare i fondi entro ferragosto.
Le (non) dimissioni di Rettighieri
Intanto il Direttore Generale dell’Atac, Marco Rettighieri, in “riferimento a note di agenzia” ha precisato ieri, con un comunicato, che “nel corso del giro inaugurale della linea 3 in compagnia dell’Assessore Linda Meleo e del Presidente della Commissione Trasporti del Comune di Roma, Enrico Stefàno, non si e’ mai parlato di mie dimissioni. Continua invece il mio impegno per il risanamento dell’azienda”. Intanto ogni giorno si registrano mezzi fuori uso per guasti. “È inaccettabile che non si riesca a garantire il servizio neanche la domenica con una programmazione estiva già ridotta all’osso – sbotta il presidente della commissione capitolina Trasporti Enrico Stefano dopo un blitz ieri sera nella rimessa Atac di Tor Sapienza – Abbiamo trovato una situazione drammatica: molti autisti erano fermi perché non avevano autobus da portare. In questa rimessa, ad esempio, su 100 vetture che dovevano uscire 30-35 erano rientrate per guasto”. Ma, come abbiamo spiegato ieri, proprio per quei guasti erano circolate anche accuse, implicite, di boicottaggio ai sindacalisti: il Messaggero riportava le ipotesi che circolano nel quartier generale di ATAC: «È una semplice coincidenza che il collasso della manutenzione sia coinciso con una serie di manovre,operate dai vertici della municipalizzata, che hanno ridimensionato,e non di poco, il potere dei sindacati? Insomma l’aumento anomalo dei guasti è un dato di fatto. La «regia» dei sindacati al momento è solo un’ipotesi e le indagini sono ancora in corso proprio per accertare se nei depositi di bus e metro sia partito un«ordine»,diretto ai conducenti, di mettere il rallentatore alle corse. Per poi addossarne la colpa ai dirigenti». La ragione sarebbe dovuto alla trasformazione dell’azienda operata da Marco Rettighieri, che ha dato un taglio ai distacchi concessi ai sindacalisti e revocato le licenze agli attivisti, tagliando anche 10mila ore di permessi e chiedendo alle sigle di risarcire l’azienda per le assenze ingiustificate: un assegno da 400mila euro che i sindacati hanno dovuto staccare, 200mila soltanto da Cgil e Cisl. L’UGL non ha trovato un accordo per il risarcimento e il suo segretario generale, Fabio Milloch, è stato licenziato. Poi c’è la storia dell’appalto per le mense aziendali:
Sempre Rettighieri, insieme all’amministratore unico di Atac, Armando Brandolese, a fine maggio ha consegnato in Procura un altro dossier. Stavolta nel mirino è finito il Dopolavoro, una società partecipata al 100% da Cgil, Cisl e Uil e che per 40 anni ha gestito le mense aziendali più una serie di strutture ricreative. Una commessa da oltre 4 milioni di euro l’anno, pagati a piè di lista da Atac. Particolare: non c’è mai stato un contratto. Tutto risale a un vecchio accordo sindacale del 1974. Mai una gara,mai un controllo sul numero effettivo di pasti erogati ai dipendenti (i quali, peraltro, dovevano pagare una quota aggiuntiva ogni volta che si mettevano a tavola). Morale della favola: l’affidamento è stato sospeso ed è stata indetta una procedura aperta per mettere il servizio sul mercato. Al miglior offerente. Subito dopo averlo saputo, i sindacati hanno spedito una lettera al diggì per sospendere «tutte le relazioni industriali».