E anche oggi il PD decide qualcosa domani

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-05-19

Nel giorno della resa dei conti il partito rinvia il conto delle rese: nessuna discussione sulle dimissioni di Renzi, che così vengono congelate, in cambio dell’ok a Martina reggente

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Nel giorno delle decisioni il PD decide di non decidere. Con un voto a maggioranza l’assemblea del Partito Democratico ha deciso di cambiare l’ordine del giorno e non discutere oggi sulla guida del partito e il congresso, ma rinviare tutto a una successiva riunione. Sono stati 397 i voti a favore, 221 i contrari e sei gli astenuti. Contro la proposta si sono levate proteste dalla platea, che in precedenza aveva fischiato. “Capiamoci, anche basta”, ha detto Orfini a chi lo interrompeva. L’assemblea si è poi aperta con la relazione di Martina.

E anche oggi il PD decide qualcosa domani

Ma è il racconto di quello che è successo prima del voto a far capire la scarsa serietà di una situazione disperata: quando mancava poco più di un’ora all’inizio dell’assemblea nazionale, le aree che si riconoscono nella candidatura di Maurizio Martina stavano raccogliendo le firme per proporre la candidatura del reggente a segretario in assemblea. Esponenti delle aree pro-Martina spiegavano che l’elezione di Martina “deve avvenire indipendentemente dalla data di convocazione del congresso che sarà decisa successivamente”. Una linea che andava duramente a cercare lo scontro con i renziani, i quali nella giornata di ieri hanno cercato in ogni modo di rimandare la discussione.

pd assemblea

A questo punto i renziani hanno cominciato a raccogliere le firme per un ordine del giorno per il congresso subito: è “necessaria – si leggeva nel testo anticipato dall’ANSA – una riflessione ampia che coinvolga tutti i nostri iscritti e militanti, sul futuro del nostro partito e sulla proposta politica da avanzare per il Paese capace di contrastare la deriva populista e di destra che emerge dall’accordo di governo raggiunto tra Lega e Movimento 5 Stelle; tale discussione deve avvenire in sede congressuale; si chiede per queste ragioni che si proceda con l’avvio immediato del percorso congressuale e ai relativi adempimenti previsti dallo statuto“.

La conta mancata e la tecnica del rinvio

Intanto il tempo passava. E saltava l’orario di inizio dell’Assemblea mentre si rischiava di andare alla conta. La quale però avrebbe per lo meno portato alla chiarezza: si sarebbe così finalmente scoperto quali fossero gli schieramenti all’interno dell’assemblea e quale fosse l’orientamento della maggioranza del partito. Verso le 11,30, invece, è arrivata la proposta di mediazione: Martina poteva rimanere reggente e Matteo Renzi segretario dimissionario, congelando così il tempo trascorso dal 4 marzo e evitando così di prendere una decisione che avrebbe spaccato il partito. Alle 12 e 10 è così iniziata l’assemblea e il presidente del partito Matteo Orfini ha annunciato il contenuto della mediazione: “Molti in questi giorni hanno chiesto pubblicamente e privatamente di cambiare la natura della nostra assemblea di oggi per dedicarla a una discussione politica su quello che avviene nel Paese, rinviando la trattazione dell’ordine del giorno previsto oggi alla prossima assemblea. Come presidenza vi proponiamo all’unanimità di accettare questa richiesta e cambiare la natura dell’ordine del giorno”.

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La proposta di Orfini è stata accolta da fischi e contestazioni prima di essere messa ai voti. Con 397 voti a favore, 221 contrari e 6 astenuti, ha vinto la proposta del rinvio. Rendendo così inutile l’Assemblea. “Noi non sappiamo quando arriverà la fine del mondo, se sarà di giorno o di notte. Ma di sicuro sappiamo una cosa: anche quel giorno la DC rinvierà qualcosa”, scriveva Fortebraccio quando l’Unità era ancora un giornale. Oggi gli eredi del suo partito hanno dimostrato per l’ennesima volta di aver imparato la lezione dai democristiani.

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