Articolo 107: cosa vuole fare il governo con le banche dopo la Brexit

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-06-28

L’esecutivo vorrebbe utilizzare «gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali» per gli istituti di credito. Ma arrivano le smentite. Intanto il ministro Calenda chiede investimenti pubblici incrementali fuori dal Patto di Stabilità per i prossimi tre anni

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Il governo italiano intende intervenire con un piano per stabilizzare le banche attraverso un sistema di garanzie pubbliche o forse con la ricapitalizzazione diretta di qualche azienda più fragile. Questo il senso delle richieste di Matteo Renzi ad Angela Merkel e François Hollande al summit di ieri che apre, a quanto pare, uno spiraglio per l’intervento governativo sul sistema del credito ancora più in difficoltà dopo la Brexit.

Articolo 107: cosa vuole fare il governo con le banche

L’idea sarebbe di intervenire invocando le difficoltà eccezionali che il sistema finanziario sta cominciando ad affrontare per effetto del referendum sull’appartenenza del Regno Unito all’Unione Europea e dei sui risultati. Per evitare rischi sistemici il governo Renzi pensa a un intervento per stabilizzare gli istituti ma senza passare dal «bail-in» e punta a far valere le norme del Trattato Ue che consentono eccezioni se è a rischio la stabilità finanziaria. Spiega oggi Milano Finanza:

Le regole europee sugli aiuti di Stato, dopo la stretta dell’estate 2013 (decisa dalla Commissione Ue dopo salvataggi pubblici per decine di miliardi in Germania, Olanda, Spagna e Regno Unito), hanno impedito qualsiasi intervento in Italia, come la bad bank e il sostegno preventivo del Fitd (alimentato con il denaro delle banche) agli istituti in difficoltà. Il Paese si è ritrovato così senza strumenti di protezione per le banche, che hanno affrontato la crisi senza stampelle esterne (mentre negli altri Paesi gli indici di capitale sono aumentati proprio grazie agli interventi pubblici).
La Brexit potrebbe essere ora utilizzata dalle autorità italiane come grimaldello per ottenere più ampi spazi di manovra: l’articolo 107 del Trattato Ue dice che sono compatibili con il mercato interno «gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali», come appunto potrebbe essere considerato la Brexit. Così si aprirebbe una finestra per l’Italia per interventi che non farebbero scattare il bail in.

Secondo il Corriere della Sera l’Italia sta spiegando alla Commissione Ue che in questo caso il «bail-in» non va applicato: il Trattato Ue e le norme di legge consentono eccezioni quando è in gioco la stabilità finanziaria a livello sistemico. «L’impressione diffusa è che Merkel ritenga l’iniziativa italiana un errore — preferirebbe aumenti di capitale delle banche fatti sul mercato — ma non si metterà di traverso. Per lei oggi è politicamente meno costoso lasciare che le banche italiane vengano stabilizzate con fondi del governo di Roma, piuttosto che dover presentare ai suoi elettori un altro intervento europeo, e dunque proquota tedesco, di «salvataggio»: peraltro l’Italia oggi non ne ha bisogno, dato che si può finanziare facilmente sul mercato».

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Come sono andate in Borsa le banche europee dopo il referendum sull’appartenenza del Regno Unito all’Unione Europea (Il Sole 24 Ore, 28 giugno 2016)

Ma lo scenario è fortemente contestato dal sottosegretario all’Economia con delega alle banche Pier Paolo Baretta, che smentisce le indiscrezioni di un piano allo studio dal parte del governo per sostenere gli istituti di credito se le perdite sui mercati per gli effetti di Brexit dovessero perdurare. “Non siamo in una situazione di emergenza” e “non vedo alcuna ragione per un intervento pubblico sulle banche”, chiarisce Baretta e aggiunge: “attendiamo di vedere gli orientamenti europei perché è una situazione che riguarda tutti i paesi europei in seguito al Brexit”. Quindi l’Italia al momento si limita a monitorare la situazione senza allarmismi. Il ragionamento è che la Brexit è un ciclone che ha colpito tutti i partner dell’Unione quindi serve una riflessione europea su come gestire questo nuovo corso dell’Ue a 27. D’altra parte attivare la clausola prevista dall’articolo 107 del Trattato Ue che ammette gli auti di stato in presenza di eventi eccezionali in deroga dunque alle norme sul bail in significa usare i soldi dei contribuenti contravvenendo la ratio per cui è stata approvata la norma stessa.

Aiuti di Stato alle banche e investimenti

 
Seppur dolorosa per azionisti e obbligazionisti, in casi estremi anche per i correntisti, la norma ha evitato i salvataggi finanziati con i soldi dei cittadini. Un passaggio chiave nella gestione delle crisi bancarie, sancito dal primo gennaio scorso, su cui difficilmente i partner europei farebbero dietrofront così in fretta. Solo in ultima ratio potrebbero essere previsti interventi sul capitale, che poi però porrebbero serie sfide non solo con la Ue, ma sulla gestione degli stessi istituti da parte dello Stato. Se questi dovessero scattare comunque, potrebbero prendere la strada di garanzie per la ricapitalizzazione, magari a tassi di mercato, oppure appunto prevedere la costituzione di un Atlante 2 con un ruolo centrale della Cdp, visto che molte risorse del settore privato sono state già drenate dal fondo di Penati e da quello obbligatorio. Bisognerà vedere quali potranno essere i margini di manovra e le intese con i partner con i quali l’esecutivo si incontrerà al vertice europeo.Intanto il sottosegretario Carlo Calenda in una lettera al Corriere della Sera propone investimenti pubblici incrementali da tenere fuori dal Patto di Stabilità:

Come mostra anche il referendum inglese, fratture profonde, trasversali e diverse da Paese a Paese attraversano le nostre società: giovani verso anziani, grandi aziende verso pmi, classe media verso élite, non laureati verso laureati. Il grado di polarizzazione tra vincitori e vinti non è più sostenibile. Riconoscere questa situazione è la prima cosa da fare per impostare una credibile proposta politica ed economica che affronti, piuttosto che rifiutare, le sfide della modernità. C’è un poderoso investimento da fare su cultura ed educazione. Oggi il divario tra mezzi culturali per capire e operare nella realtà e offerta educativa è diventato una voragine. Siamo colpiti da un gigantesco salto culturale e tecnologico che investe tutti i settori della vita economica e sociale. L’unico modo per affrontarlo è fare un upgrading a 360° del nostro software e del nostro hardware. Per chiudere, guardando avanti, le fratture delle nostre società, ristabilendo un livello appropriato di equità sociale, servono dunque soprattutto gli investimenti. Per questo è fondamentale che l’Ue consideri gli investimenti pubblici incrementali e le misure fiscali per favorire quelli privati fuori dai parametri del patto di Stabilità per i prossimi tre anni.

Una strada più potabile dell’ennesimo aiutino alle banche. Ma forse proprio per questo ancora più difficile da percorrere.

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