L'ultima battaglia di Tsipras

di Faber Fabbris

Pubblicato il 2016-04-28

L’obiettivo dei creditori: spingere la Grecia sull’orlo della bancarotta per costringerla a cedere ancora terreno. Il punto successivo è la fine del governo Tsipras. Ma alcune istituzioni europee si rendono conto che l’assenza di una soluzione potrebbe generare problemi incontrollabili.

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Come previsto, non appena la discussione sul debito si riavvicina, i creditori – con motivi ed approcci diversi – cercano di screditare Tsipras. La ormai famigerata prima ‘revisione’ del programma greco sembra a portata di mano, ed era anzi stata annunciata anzi da Tsakalotos in occasione di un Eurogruppo speciale il 25 o 26 aprile. I rinvii si sono finora accavallati, sulla base di vari pretesti, ma con un unico, vero obiettivo: spingere la Grecia sull’orlo della bancarotta per costringerla a cedere ancora terreno. La casamatta successiva è chiaramente la fine del governo Tsipras.

Spingere la Grecia sull’orlo della bancarotta

Che non si trattasse di scenari da complotto lo avevano rivelato le conversazioni – pubblicate da Wikileaks – tra Thomsen e Velculescu (massimi responsabili per il FMI in Europa e in Grecia), che si concertavano sulla realizzazione del ‘piano’ anti Atene. In realtà l’episodio delle “rivelazioni” pare aver complicato l’attacco a Tsipras, perché rende impossibile l’allineamento delle istituzioni ‘europee’ (soprattutto della Commissione) sulle prospettive del FMI. Il quale considera gli obbiettivi di bilancio (avanzo primario del 3,5% a dicembre 2018) irraggiungibili con le misure prese da Atene, e richiede quindi una austerità ancora più grave (per 3,5 Mld€), con clausole di aggiustamento automatico (tipo clausola ‘zero deficit’). Per non rendere totalmente irrazionale questa prospettiva, Washington – che le previsioni e gli outlook farebbe probabilmente meglio a estrarli a tombola, visto che non ne azzecca una – fa intravedere una riduzione del debito come contropartita ad ulteriori dosi di liberismo. In realtà la Lagarde sa bene che il taglio nominale non sarebbe mai accettato dagli europei, ed utilizza la proposta di taglio come semplice specchio per le allodole. Il problema per le istituzioni europee è che l’accordo di luglio è stato rispettato in maniera precisa dal governo greco, che ha disposto misure dettagliate e politicamente costose, facendo i salti mortali per non colpire ancora le fasce più deboli della popolazione (rimodulazione del carico fiscale, riforma delle pensioni senza diminuire l’importo di quelle più basse, moratoria sulle vendite all’incanto delle prime case). La pretesa del fondo (clausola di taglio automatico) è quindi difficilmente difendibile da Commissione e BCE, visto che il pesante accordo di luglio non la menziona; ma soprattutto è tecnicamente insostenibile perché gli scenari di calcolo adottati con l’accordo di luglio prevedevano una recessione del 2,3% del PIL per l’economia greca nel 2015 (ovviamente sempre dati made in FMI), mentre il risultato finale è stato una sostanziale stagnazione (-0,2%, secondo il rapporto Eurostat delle settimane scorse). La posizione finanziaria di Atene è dunque nettamente migliore del previsto, e le misure stabilite vanno quindi già al di là del necessario.

Nuove misure di austerità

Le contraddizioni, la cacofonia, l’incoerenza del campo dei creditori sono esplose questa settimana. Per averne un’idea, basta gettare uno sguardo alla catena febbrile di dichiarazioni delle ultime ore. Il 24 aprile Dijisselmbloem, presidente dell’Eurogruppo, dichiarava “la tranche di credito alla Grecia sarà sbloccata non appena l’Eurogruppo avallerà l’accordo”; per assicurare addirittura, il 26 aprile, alle 16:51: “Con la Grecia l’accordo è fatto sul 95% dei provvedimenti”; mentre in tarda serata le agenzie greche battevano “Infruttuoso l’incontro con le istituzioni”, e la seduta tecnica quartetto-Atene era tolta senza risultato. Il 27 aprile, alle 15:47, Klaus Regling, direttore dell’EFSF :”Solo se ci saranno sufficienti progressi convocheremo l’Eurogruppo”; Gianni Pitella, presidente del gruppo socialdemocratico al parlamento europeo, dichiara alle 13:20 : “Ci sono dei falchi che vogliono uccidere la Grecia: non possiamo chidere misure preventive ad Atene”. Tsipras, a questo punto, facendo capire che il FMI e Schauble sono dietro il fallimento del tavolo negoziale, chiede a Donald Tusk la convocazione urgente di un vertice dei capi di stato e di governo dell’area euro, per sbloccare la situazione; alle 15:33 il portavoce del ministero delle finanze di Berlino precisa che “l’organo sovrano per le decisioni è l’Eurogruppo, non è prevista la convocazione di un vertice dei capi di stato e di governo” (tanto perché si capisca chi comanda). Poco dopo Dijisselbloem indica che “c’è ancora molta strada da fare”, e che ci sarà un Eurogruppo la settimana prossima, forse la successiva, ma Tusk corregge “Eurogruppo entro giorni, non settimane”. La Comissione indica, alle 15:27 che “ci sono tutte le condizioni per trovare rapidamente una soluzione”, mentre la BCE, per bocca di Benoit Coeuré, dichiara al sole 24 ore “Convergenza tra Atene e le istituzioni, siamo vicini a una soluzione”. Ma alle 16:10 Nathan Sheets, viceministro delle finanze USA, fa sapere che “il governo americano sostiene la posizione del FMI riguardo all’attuazione di nuove misure di austerità in vista di un taglio del debito”; Alle 16:55 Jean Claude Juncker dichiara che “la richiesta di nuove misure ex ante alla Grecia è illogica e anticostituzionale” e richiede la immediata convocazione dell’Eurogruppo. In serata Pierre Moscovici, “ministro delle finanze” europeo, dichiara “che l’accordo è a un passo”.

Un certo nervosismo

Insomma, è chiaro che un certo nervosismo (e l’assenza di direzione politica che lo genera) si sia diffuso fra i creditori di Atene; è evidente ormai che c’è una divergenza tra una linea ‘dura’, ma sempre più indifendibile (quella dei falchi, cui alludeva Pittella, il cui capofila europeo è Schaeuble, con il suo succedaneo Weidmann), ed una più realistica, globalmente incarnata dal resto delle istituzioni europee, BCE -quasi- compresa, che si rendono conto che l’assenza di una soluzione potrebbe generare problemi molto gravi, forse incontrollabili. Vale appena la pena di ricordare che la Spagna, dopo tre mesi di infruttuose consultazioni, rimane ufficialmente oggi senza governo, con nuove elezioni il 26 giugno; che in Austria l’estrema destra fa il pieno dei voti e il parlamento sancisce la sospensione del diritto di soggiorno, oltre a bloccare il Brennero; che in Polonia e Ungheria l’involuzione autoritaria è in pieno svolgimento; che il Brexit si avvicina a passi da gigante. Per non parlare della drammatica situazione dei profughi che premono sui Balcani. Sarebbe ora di capire che l’Europa ha molto più da temere da un fallimento di Tsipras che da un suo successo, pur condizionato dai limiti angusti in cui il suo governo deve operare. Speriamo che la presa di coscienza non arrivi troppo tardi.

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