“12 anni sono pochi”: Alessandro Borghi parla della sentenza sul caso Cucchi

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2022-04-19

L’attore, che ha interpretato il geometra romano morto nel 2009 dopo le percosse subite da due Carabinieri, parla per la prima volta delle condanne nei confronti dei militari dell’Arma

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Due processi, dieci condanne per motivi differenti. Le prime due (12 anni di carcere) nei confronti di quei due Carabinieri che hanno pestato a sangue – provocandone la successiva morte – Stefano Cucchi in Caserma; le altre otto (in primo grado) nei confronti di tutti quei personaggi che hanno provato a ostacolare le indagini e la giustizia attraverso una lunga serie di depistaggi. Verità arrivate dopo una dozzina d’anni dalla morte di quel 31 la cui storia è stata raccontata sul grande schermo da Alessandro Borghi. E ora, l’attore romano ha deciso di rompere il silenzio e commentare gli esiti di quegli infiniti processi paralleli.

Alessandro Borghi parla della sentenza sul caso Cucchi

Nella sua intervista a Il Corriere della Sera, in occasione dell’uscita della seconda stagione di “Diavoli” (con Patrick Dempsey) Alessandro Borghi ha risposto a una domanda proprio sulle sentenze del caso Cucchi. E se per molti giustizia è stata fatta, l’attore romano è molto più duro e critico.

“Ho due pensieri a riguardo: il primo è che 12 anni sono pochi, il secondo è che ci sono molte persone rimaste impunite e che invece dovrebbero pagare le conseguenze per quello che hanno fatto. Un sacco di persone non si sono occupate di Stefano come avrebbero dovuto, non solo due”.

Secondo l’attore, ce ha interpretato Stefano Cucchi nel film “Sulla mia pelle” (uscito nelle sale cinematografiche nel 2018), quei 12 anni sono pochi nei confronti dei due carabinieri – Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro – che ora, dopo la condanna in via definitiva, sono stati espulsi dall’Arma. E, soprattutto, Alessandro Borghi sottolinea come a pagare non debbano essere solamente questi due militari, ma anche tutte quelle persone che si sono poste come scoglio – attraverso depistaggi e narrazioni false rispetto a quanto accaduto – per arginare la ricerca della verità. Una verità arrivata 12 anni e mezzo dopo.

(foto IPP/DC – immagini di scena del film “Sulla mia pelle”)

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