Acciai Speciali Terni: storia di una «vittima» delle multinazionali (e dell'Europa)

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2014-10-30

La vicenda delle acciaierie umbre si intreccia perfettamente con l’epopea del capitalismo di Stato e la sua crisi irreversibile. Ma negli ultimi anni è stata la Commissione Europea a decidere il suo destino

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Acciai Speciali Terni è un nome che rimbalza spesso nelle cronache economiche e sindacali. Eppure anche la carica di polizia di ieri sugli operai non ha contribuito a spiegare come mai quella che era stata per secoli un’avanguardia di produzione nazionale è finita in un pasticcio che prevede «efficienze per cento milioni», e in soldoni il licenziamento di 536 operai, quando soltanto due anni e mezzo fa, nel febbraio 2012, dopo l’acquisto da parte dei finlandesi di Outokumpu AST era destinata a diventare «il centro di produzione dell’inossidabile per l’area dell’Europa meridionale». Cosa è successo nel frattempo? La crisi, sì, quella c’è per tutti e c’era anche nel 2012. Nel frattempo è arrivata però una sentenza dell’Antitrust europeo proprio su quella vendita, che coinvolgeva la ThyssenKrupp: secondo l’Europa l’acquisto avrebbe creato una posizione dominante da parte dei finlandesi, danneggiando le altre compagnie. Per questo l’azienda è tornata ai tedeschi, che però avevano già deciso di non puntare più sull’Italia e oggi stanno mettendo a punto quel piano di ridimensionamento che il ministero dello Sviluppo vuole provare a ridurre a duecentonovanta lavoratori.
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ACCIAI SPECIALI DI STATO
La storia degli Acciai Speciali Terni comincia nel 1884, quando nasce la Società degli Alti Forni, Fonderie e Acciaierie” (SAFFAT) nella cittadina umbra, che all’epoca pare il luogo ideale in cui impiantare l’industria siderurgica nazionale, tanto strategica come posizione in quanto difficilmente attaccabile da mare o per via aerea, quanto pronta, grazie a sforzi e relazioni dell’ingegner Cassian Bon, a raccogliere la sfida con tanti aiuti “di Stato”. Si tratta di una società anonima con capitale sociale di sei milioni:

Al capitale sociale partecipano banchieri veneti, la Società Veneta di Breda e lo stesso Breda. Lo Stato si impegna ad anticipare 12 milioni sulle future commesse, mentre la Banca Nazionale, la Banca Generale e il Credito Mobiliare garantiscono fidi e anticipazioni. La precedente società in accomandita per azioni al portatore di Cassian Bon si trasforma ora in una Società Anonima. Il Commendator Breda ne acquisisce il controllo quando ha l’assicurazione da Brin dell’appoggio pubblico per la costruzione di un’acciaieria. Lo stabilimento sorge su un’area di 200 mila metri quadrati, di cui 50.576 edificati.

Il suo costo complessivo è di 56 milioni di lire; ai lavori partecipano 2.000 operai.

La nuova Acciaieria è suddivisa in tre sezioni: una, con due forni Bessemer da 10 tonnellate, produce acciaio per usi commerciali, un’altra, con due forni Martin Siemens da 20 tonnellate, produce acciaio per cannoni, corazze e proiettili, la terza, con piccoli forni a crogiolo, si occupa della produzione di acciai per utensili. Il reparto laminazione dispone di cinque laminatoi, il più grande dei quali può produrre lamiere fino a 250 mm di spessore. Per la grossa fucinatura è in corso di installazione un maglio con mazza battente da 108 tonnellate. Viene costruita una ferrovia di comunicazione tra la stazione ferroviaria, la Fonderia ed il nuovo stabilimento. La posizione di preminenza in Italia della società è destinata a rimanere tale per molti anni.

Con il fascismo al potere gli Acciai Speciali diventano di Stato. Succede dopo la Grande Depressione del 1929, e dopo che il sistema bancario italiano e romano aveva ricevuto frequenti scossoni che avevano avuto ripercussioni su finanziamenti e scelte industriali dell’acciaieria. Acciai Speciali Terni finisce inserita da Beneduce, storico fondatore dell’IRI, con l’approvazione di Mussolini nella Finsider, insieme all’Ilva e all’Ansaldo, che approfitta del merger per acquisire le attività cantieristiche di Terni, a sua volta indicata come il veicolo per la gestione della siderurgia meccanica e chimica di Stato nell’era fascista. Diecimila addetti nel 1940 in piena guerra sfornano 66mila tonnellate di acciaio che l’Italia riversa sul tavolo di guerra. Gli stabilimenti finiscono bombardati sia dagli alleati che dai tedeschi.
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ACCIAI SPECIALI E AFFARI ALTRUI
Nel dopoguerra gli Acciai Speciali devono essere riconvertiti dall’uso bellico, mentre il comparto elettrico è l’unico a garantire profitti. Inizia un periodo di lunga trasformazione per l’azienda, che lavora in joint venture con gruppi americani. All’alba degli Anni Sessanta è diventata leader mondiale nella produzione di acciai inossidabili piani. E viene anche via via spogliata del business dell’elettricità:

Il settore elettrico, perno centrale della Società, viene nazionalizzato e diventa di proprietà dell’Enel. Come contropartita, lo Stato assicura una fornitura trentennale di energia elettrica a bassi costi, insieme alla promessa degli indennizzi per la confisca. Anche l’attività mineraria cessa, mentre quelle elettrochimica e cementiera vengono scorporate. Il piano di investimenti Sette, dal nome del suo ideatore, in questo periodo mira a rendere la Terni la prima azienda nazionale per la produzione di semilavorati e manufatti per generatori, trasformatori, motori elettrici, magneti. Nel corso del “miracolo economico” la Terni orienta la produzione delle lavorazioni sidero-meccaniche verso la domanda proveniente dalle centrali elettriche. Viene incrementata la produzione di lamierini magnetici e quella dei laminati piani sottili e inossidabili.

La stessa fine la fa l’elettrochimica, che passa all’Eni a metà degli anni Settanta. Le acciaierie sono in crisi profonda perché gli investimenti non sono mai stati ripagati. A metà degli anni Ottanta lo stabilimento occupa un’area di 1 milione e 300 mila metri quadrati e ha una capacità produttiva di 1 milione di tonnellate all’anno. Intanto la Finsider finisce in (scarsa) gloria e l’IRI decide di privatizzare anche gli Acciai Speciali. A metà degli anni Novanta gli stabilimenti di Terni e Torino sono fusi in Acciai Speciali Terni (AST), la proprietà è divisa tra alcuni imprenditori italiani e la Krupp, che in breve tempo acquisisce il pieno controllo della società.
Essen, Firma Krupp, Lokomotivbau
LA FINE DELLA STORIA
Il resto è storia recente, recentissima. La tedesca Krupp, dapprima associata insieme a Falck, Agarini e Riva nel 2001, dopo essersi fusa con la Thyssen (ThyssenKrupp) assume la proprietà dell’intero pacchetto azionario. Nel 2009 la ThyssenKrupp decide di raggruppare tutti gli stabilimenti dell’acciaio inossidabile nella Inoxum, che poi vende ai finlandesi di Outokumpu. I tedeschi non puntano più sull’inox, i finlandesi sì. Ma a quel punto arriva, nel dicembre 2012, la Commissione Europea che approva l’approvazione di Inoxum a condizione che i finlandesi cedano gli impianti di Terni, «al fine di evitare la costituzione di imprese aventi posizioni dominanti sul mercato europeo»:

La Outokumpu aveva un piano di sviluppo per Terni, puntava a farne il centro produttivo per tutta l’area mediterranea, lasciando alla finlandese Tornio i mercati del nord, chiudendo una fabbrica in Germania e mettendone sotto osservazione un’altra sempre in terra tedesca. Poi l’Antitrust europeo disse che no: i finlandesi avevano conquistato una posizione dominante nella produzione dell’acciaio inossidabile violando i tetti europei, mentre nel mondo c’era già una sovracapacità produttiva.Dunque avrebbero dovuto cedere gli impianti di Terni. Così sono tornati i tedeschi. Che hanno ribaltato il piano dei finlandesi: rafforzamento degli stabilimenti germanici, ridimensionamento di quello italiano. L’Italia è rimasta a guardare. (Roberto Mania, La Repubblica, 30 ottobre 2014)

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E oggi gli acciai speciali a Terni sono uno stabilimento in dismissione: «vittima», tra molte virgolette, di aziende più grandi che hanno dovuto seguire direttive di enti ancora più grandi. Ieri la cittadina umbra era uno dei primi cinque produttori mondiali di acciaio. Oggi il ministero deve trattare su 250 licenziamenti in più o in meno. Sic transit gloria tonti.

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