Cultura e scienze
Tutti quelli che parlano (male) di Tomas Milian
di Mario Neri
Pubblicato il 2017-03-24
Dopo la sua morte in molti degli amici di un tempo rimane anche il ricordo delle spigolosità del suo carattere e dei tanti scontri avuti sul set. E non solo
Tomas Milian è morto ieri a 84 anni a Miami, dopo essere entrato nella storia del cinema italiano per i tanti personaggi a cui ha dato vita con grandi autori come Lattuada, Visconti, Maselli e Bertolucci e per la sua partecipazione in western e film polizieschi, tra gli anni ’70 e ’80. Oggi tutti i giornali lo ricordano ma in molti degli amici di un tempo rimane anche il ricordo delle spigolosità del suo carattere e dei tanti scontri avuti sul set. E non solo.
Tutti quelli che parlano (male) di Tomas Milian
A volte si tratta semplicemente di anedottistica. Ad esempio Massimo Vanni, spalla storica di Milian, ricorda che lo stuntman Quinto, che lo sostituiva nelle scene movimentate, segnalando come l’attore “si vestiva come lui”: «Quando girava per Roma spesso a Quinto veniva chiesto perché si fosse vestito come er Monnezza. In realtà era il Monnezza che si vestiva come lui. In ogni caso, Quinto ogni tanto ne approfittava per farsi passare per Tomas e lanciarsi in improbabili conquiste femminili». E sempre Vanni dà i giusti meriti al suo doppiatore Amendola: «Ferruccio fu realmente importantissimo. Tomas con il suo accento cubano non avrebbe mai potuto risultare credibile». Il Fatto invece intervista Dardano Sacchetti, sceneggiatore, che di Milian non fa un ritratto molto lusinghiero:
Lui era celebre per le sue fragilità…
Enormi. Spesso sul set si ubriacava, ma di brutto, specialmente quando le scene lo coinvolgevano emotivamente, alcune volte si è anche drogato. Ma lui era così, si portava dietro dei terribili fantasmi del passato, come il suicidio di suo padre o il rapporto con questa madre bellissima, da lui esaltata, che lo lasciò in balia nella New York degli Andy Warhol o di Truman Capote.
Vista questa fragilità, come era il suo rapporto con i registi?
Il problema non era solo con i registi, ma con tutta la troupe. Se non si trovava con qualcuno, bastava anche una sola persona, scoppiavano le tragedie, era capace di andarsene, e senza alcun motivo specifico,lui basava molto il giudizio sulle sensazioni, a pelle.
D’altro canto anche in questa intervista per Roma Uno dopo aver ricevuto il premio Marco Aurelio Milian non parla in modo lusinghiero di molti dei colleghi che vengono citati, dichiarando spesso di non aver avuto alcun rapporto con loro se non quello professionale (si parla di Amendola e Bud Spencer).
Tomas Milian, attore e divo fragile e insicuro
Sempre Sacchetti non risparmia critiche alla persona Milian: «Non aveva grande autostima, era consapevole che parte del suo successo lo doveva al doppiaggio di Ferruccio Amendola. Una volta portò un suo lavoro al Festival di Spoleto: lo massacrarono». E poi racconta degli scontri anche fisici sul set: «E comunque Milian aveva una tecnica nella rissa: attaccava subito con un calcio, poi si staccava e attendeva che gli altri lo dividessero per poi urlare: ‘Lasciatemi, lasciatemi!’».
Citto Maselli, regista che lo volle per primo in un film italiano, racconta che «aveva difficoltà a campare. Un depresso dal cuore tenero e io cercavo di valorizzarlo perché c’era lì dentro un grande temperamento da tirare fuori». Maselli non ha una grande opinione del genere poliziottesco a cui Milian si era prestato dopo gli anni Sessanta ma è interessante scoprire che anche lo stesso attore non l’aveva:
Poi lo perse di vista e lo ritrovò al cinema come Giraldi Er Monnezza…
«Ne ho visto soltanto uno di quei film. Sono rimasto disgustato, non ho più voluto seguirlo in quel ruolo. Un talento e una intelligenza buttati. Un vero delitto».
Gliel’ha mai detto?
«Non ricordo. Tomas mi prese da una parte: “Almeno tiro su un po’ di soldi”. Questo me lo ricordo».
Parole in libertà o forse ricordi confusi. Nella sua biografia Milian scriveva tutt’altro a proposito der Monnezza e della sua città: «Roma è la mia casa, qui ho incontrato l’amore mio, il Monnezza. Se gli ho dedicato la mia vita è perché ho sempre voluto essere come lui. Romano, paraculo, estroverso, buono, donnaiolo, fijo de ‘na mignotta, sincero, buon padre, buon marito, buon amico… Tutto quello che io non sono». Ma in fondo tutto il cinema è finzione. Terribilmente reale, però.