Tutti hanno diritto alle cure (senza distinzioni), ma la sanità pubblica non è né gratuita né infinita

di Lorenzo Tosa

Pubblicato il 2021-11-26

In un Paese civile tutti hanno diritto ad essere curati, senza distinzioni di classe, di pelle e di idee. Ma la sanità pubblica, “cari” no-vax, non è né gratuita né infinita. Rispettatela

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In questi giorni una parte non trascurabile del dibattito sul Covid si sta concentrando sul tema delle cure e, più precisamente, sul diritto o meno per chi rifiuta il vaccino a ricorrere alla sanità pubblica italiana. Il video choc di PiazzaPulita che mostra un no-vax in un ospedale dell’Alto Adige, pronato, col sondino nel naso, ad occhi chiusi, mentre dichiara in modo spocchioso di rifiutare qualunque vaccino, ha riacceso inevitabilmente un dibattito che, da mesi, infiamma gli animi e divide l’opinione pubblica. La risposta, come spesso capita, è già nella questione: “pubblica”. La sanità italiana, prima di qualunque altro aggettivo, è pubblica, ovvero di tutti noi, nessuno escluso.

no vax ospedale bolzano ossigeno

Già il semplice fatto che qualcosa all’apparenza così ovvio sia entrato ufficialmente in discussione presso una fetta non trascurabile dell’opinione pubblica, specie sui social, dimostra che la tolleranza nei confronti dei movimenti antiscientifici sia (comprensibilmente) ai minimi termini, complice, in questo, anche l’overdose di mediconi, disagiati, pugili, portuali, apprendisti stregoni che occupano quotidianamente i salotti televisivi, spesso messi a confronto da pari a pari con chi medici e scienziati lo sono davvero.

Ma è proprio qui che occorre fare uno sforzo in più per tenere in equilibrio due fattori chiave: da una parte l’umanissima pulsione alla scorciatoia, al contrappasso, al castigo esemplare che attraversa un po’ tutti noi adulti e vaccinati in questi tempi balordi; dall’altra la razionalità delle leggi e i diritti elementari di una società, che valgono soprattutto nel momento in cui è più difficile o non istintivo tutelarli. E proprio per questo ne vale di più la pena: perché i diritti non sono concessioni. “Altrimenti”, diceva Gino Strada, “chiamateli privilegi”.

Topo morto in ospedale
Policlinico di Modena, da Google Maps

E allora? Cosa resta da fare a noi che crediamo nella scienza, che ci consideriamo razionali, progressisti, umani, a noi 47 milioni che ci siamo assunti la responsabilità individuale e collettiva di sottoporci a un vaccino anche per chi si ostina a rifiutare testardamente la realtà e le più elementari evidenze scientifiche? Partiamo da un principio, chiaro, semplice, una volta per tutte: la sanità pubblica italiana cura chiunque, sempre, senza distinzioni. Ed è qualcosa di cui tutti dovremmo essere orgogliosi. Non importa che tu sia bianco, nero, giallo, ebreo, santo o criminale, fascista o comunista, pro o contro i vaccini: sarai sempre trattato con la stessa identica cura e dedizione di chiunque altro.

Fine? Liberi tutti? Neanche per sogno, perché, per dirla con Jean Paul Sartre, uno che di diritti qualcosa ne sapeva: “Un diritto non è che l’altro aspetto di un dovere”. Il suo specchio riflesso, il rovescio della medaglia. E allora, ogni volta che rivendichiamo il diritto (sacrosanto) alla sanità indiscriminata per chiunque, ricordiamoci anche quello che la sanità non è e non può mai essere:

a) La sanità NON è gratuita: la paghiamo tutti noi con le nostre tasse.
b) NON è infinita: a un certo punto finiscono i letti, gli spazi, le risorse; abusarne e togliere quelle risorse a chi non ha avuto scelta o ha fatto di tutto per non finirci non è solo immorale. È criminale.
c) Ma, soprattutto, NON è scontata: esistono dei luoghi in cui, senza un’assicurazione sanitaria, rischi di morire per un mal di denti e altri in cui i vaccini sono un privilegio da ricchi e si muore per una banale diarrea.

Perciò, cari no-vax (sì, sto parlando a voi, non so se l’avevate capito), se proprio volete riempirvi la bocca di “sanità pubblica” senza neanche sapere cosa sia, prima imparate a rispettarla. E ringraziate, ogni giorno, che esista. Non è la soluzione a tutto, ma è un buon inizio.

 

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